Due parole sulla nave spagnola con 200 migranti a bordo sequestrata a Pozzallo dalla Procura di Ragusa per l’ipotizzato reato di associazione a delinquere per traffico internazionale di migranti...
La nave Open Arms era sfuggita all’inseguimento di una motovedetta libica che minacciava di aprire il fuoco se i membri della ONG a bordo non avessero consegnato le persone (tra le quali diverse donne e bambini) raccolti da un gommone: stanti le anticipazioni di stampa, detto comportamento starebbe alla base delle durissime accuse mosse dal procuratore Zuccaro, lo stesso fenomeno che nella primavera/estate 2017 si era distinto per molteplici annunci sulla stampa in relazione al presunto ruolo opaco delle organizzazioni umanitarie che operano nel campo del soccorso in mare dei migranti.
Vale la pena rammentare per chi fosse rimasto con quel dubbio in testa (tanto basta andar sui giornali con la boutade) come
nessuna delle annunciate inchieste del procuratore Zuccaro abbia mai avuto alcun seguito giudiziario di qualche spessore.
Il comportamento della Procura di Ragusa risponde -come al solito e purtroppo, perché una Procura si dovrebbe attenere al diritto nazionale e internazionale, non alla politica- ad esigenze pubblicistiche e di servilismo nei confronti del nuovo governo salvini all’orizzonte oltre ad essere -ovviamente- fuori da ogni grazia giuridica.
Nello specifico (e riassumendo quanto osservato più estesamente da ASGI
qua):
1) tanto le norme in materia di soccorso in mare quanto quelle relative al contrasto alla tratta di esseri umani impongono agli Stati il rispetto degli obblighi derivanti dal diritto internazionale in materia di rifugiati, tra i quali il “principio di non respingimento”.
Il salvataggio con rinvio in Libia dei migranti che, da detto Paese stanno fuggendo, viola le convenzioni internazionali sul soccorso in mare perché nessun porto libico può attualmente essere considerato “luogo sicuro” ai sensi della Convenzione per la ricerca e il soccorso in mare del 1979 (SAR). Peraltro nessun rifugiato potrebbe ottenere protezione in Libia non sussistendo in quel paese alcuna norma di diritto interno che lo preveda (tant’è che là le persone sono oggetto di detenzione arbitraria nelle carceri, in condizioni disumane di violenze sistematiche).
2) la Libia non ha nemmeno i requisiti per essere ritenuta sicura dall’International Maritime Organisation (IMO), si deve dunque ritenere che un’area SAR libica non esista e che, dunque, non sussistendo la responsabilità di alcuno Stato sull’area del mar libico a sud di quella maltese e confinante con le acque territoriali della Libia, la prima centrale MRCC contattata ha la responsabilità giuridica di attivarsi per salvare le barche dei migranti e dei rifugiati in pericolo e per condurli in un porto sicuro.
Ma a parte questo, davvero OA (il suo ruolo, la sua mission, è esclusivamente quella di salvare vite) avrebbe dovuto consegnare donne e bambini alla marina libica con i fucili spianati?
E per cosa poi?
Perché venissero rinchiusi in carceri sui quali lo stato non ha controllo e più organismi internazionali e imparziali hanno definito come lager nei quali si è privati dei diritti umani più basilari?
E cosa ci avrebbero guadagnato quelli di OA tanto da configurare il reato ipotizzato?
Ma soprattutto -per tornare al diritto italiano prima che internazionale-
come si sarebbe garantita a quei 200 la possibilità -che la legge deve obbligatoriamente offrire- di presentare richiesta di protezione internazionale visto che in Libia non si può?
No, davvero... ma di che stiamo parlando?