Per inquadrare la persona riporto due suoi pensieri:
1) a Chernobyl non è morto praticamente nessuno, nemmeno come conseguenza dell'incidente
2) gli americani ora (2007) stanno imparando cosa significa avere a che fare con gli afghani (lo diceva con un ghigno di soddisfazione)
ed era un ingegnere e diplomato al conservatorio, conservava intatto l'orgoglio di ciò che era stata la Grande Madre Patria sovietica, se non altro per tradizioni di famiglia.
La nonna era stata nei campi GULAg quando aveva sedici anni, uscita prima della scadenza della pena poco dopo l'invasione tedesca, venne mandata dritta dritta a costruire carri armati a trenta chilometri da Stalingrado. E' stata l'unica volta che ho parlato, tramite il nipote che traduceva, con qualcuno che era stato nei campi. Lei diceva solo di ricordare che aveva lavorato molto, segava gli alberi assieme ad una sua coetanea. E il freddo, ricordava il freddo. Del suo soggiorno nel GULAg non si stupiva, diceva che era una cosa normale. Era stata fermata per strada, tenuta in una cella per una settimana durante la quale gli chiedevano "dicci cosa hai fatto" e lei non sapeva cosa rispondere. Dopo di che gli comunicarono la sentenza, cinque anni. Tutto normale diceva. Tutto per rendere grande l'Unione Sovietica. Un inezia a confronto con quello che era stata la guerra.
Il padre un musicista, ufficiale dell'Armata Rossa in cui era direttore d'orchestra.
In quegli anni questo ragazzo aveva un tredici anni e ricordava bene i tank, i parà, gli zakaz,... diceva che erano orologi per i ragazzini, i ragazzotti,i giovani.
Insomma più o meno come Michele


Tutto sommato ne parlava con nostalgia, il ricordo dei bei tempi andati.
Di tutt'altro tenore un russo che conobbi qui a Roma, sempre nel 2007, aveva 45anni. Aveva fatto il militare negli anni '80 come graduato. Gli chiesi se era vero che ai militari venissero assegnati degli orologi, la risposta fu "non ti davano un cazzo! ti trattavano come bestie."
Che dire, era sull'incazzato.
Di diverso tenore la risposta di una dottoressa militare moldava, un ufficiale, anche lei della stessa età, da anni in Italia a fare la badante.
Alla solita domanda mi rispose con un sorriso.
Questa è stata il tipo di risposta più comune che ho avuto in tutti i casi in cui ho chiesto degli assegnati, zakaz e simili, un sorriso di compatimento, uno sguardo che diceva "ma come sei ingenuo" e questi erano i nostalgici. Gli altri era tutti sull'incazzato e quando non lo erano troppo ti guardavano come per dire "ma questo viene da Marte?"
Ma quelli da cui ho imparato veramente qualche cosa furono le persone, e i loro amici, che mi ospitarono a Kiev. Erano tutti miei coetanei. Solo uno aveva settantanni, non ricordo bene che mestiere avesse fatto, credo il medico, la moglie, molto più giovane, era ufficiale di polizia, ancora in servizio. Gli altri erano stati tutti insegnanti.
Quindi tutti in età di ricordare bene almeno sin dai primi anni '70 e anche prima.
Una sera tirai fuori il mio portatile e gli feci vedere le foto della mia collezione.
Grande stupore! non avevano mai pensato che la grande madrepatria sovietica avesse prodotto tutta quella varietà di orologi (sulla storia degli zakaz il solito sorriso).
Quando giunse il momento di partire da Kiev vollero a tutti i costi accompagnarmi un pezzo per immettermi sulla strada giusta. L'inglese non era il loro forte. Io dovevo andare verso sud e loro mi mandarono verso nord

Viaggiai per ore. Arrivai ad un punto di confine con la Polonia. Feci una fila di quattro ore per varcare i due posti di polizia (tempi di routine quando si varca il confine in ingresso o in uscita). Tutti erano attrezzati per quella lunga attesa. Noi no. Ogni tanto andava e veniva un prete polacco. Parlava italiano e ci teneva aggiornati.
La guardia di confine polacca ci chiese solo quante stecche di sigarette avevamo con noi. Al resto diede solo un occhiata disinteressata. Bagagliaio e sedili posteriori pieni di orologi, molto ingombranti quelli da tavolo.
Il mio bottino passò tutto senza alcuna osservazione.
Sto ancora maledicendo quell'italiano, sposato con una polacca di Leopoli cugina degli ospiti della capitale. Mi aveva fatto una capa tanta così dicendomi che al confine mi avrebbero fatto il mazzo. Se non fosse stato per lui avrei riempito la macchina fino al tetto, invece i sedili posteriori erano pieni solo per tutta l'altezza dei sedili.
In realtà l'italiano era una specie di bracconiere, ma questo lo seppi dopo. Già negli anni della moda andava e veniva da quei paesi per "turismo orologiaio". Era stato un grande estimatore dei cinturini nato e simili. Infatti gli orologi li metteva lungo tutta l'estensione delle due braccia

Ma lo avevano beccato un sacco di volte.
Una lunga digressione, ma alla fine tutto si tiene
