Prima di analizzare gli ultimi avvenimenti è utile fare un piccolo recap (vi prego di correggermi se ho scritto qualche cavolata).
1948
Dopo la risoluzione dell’ONU nasce lo stato d’Israele. Primo conflitto arabo-israeliano con Egitto, Siria, Libano, Iraq e Transgiordania che attaccano Israele. Conflitto che si esaurisce nel 1949.
1956
Nuovo scontro, Egitto occupa il canale di Suez e lo nazionalizza. Israele attacca fomentata da GB e Francia, occupa la striscia di Gaza e la penisola del Sinai. Dieci giorni dopo abbiamo il cessate il fuoco e invio di una missione internazionale ONU con conseguente ritiro delle truppe israeliane.
1967
Termina la missione internazionale, Nasser vuole l’annientamento di Israele, ecco la guerra dei Sei Giorni fra Israele da una parte e Egitto, Siria e Giordania dall’altra. Vince Israele con l’annessione di vari territori fra cui Gerusalemme Est, la Cisgiordania e Gaza.
1973
Guerra del Kippur, vittoria più morale che effettiva dell’Egitto che successivamente a questa vedrà migliorare i rapporti con Israele.
1979
Dichiarazione di pace successiva all’incontro del 1978 a Camp David. Israele si ritira dal Sinai ma non da Cisgiordania e Gaza.
1982
L’OLP dal Libano comincia ad attaccare Israele, inizia la guerra del Libano che termina nel 1985.
1987
Prima Intifada, i morti sono molti, solo con gli accordi di Oslo si arriva ad parziale accordo fra il capo di OLP Arafat e il premier israeliano Rabin (verrà ucciso da un estremista).
Anni duemila
Seconda Intifada, successiva tregua, a Gaza dal 2007 abbiamo i fondamentalisti di Hamas che controllano la zona. Seguiranno altre operazioni militari da parte di Israele.
Dicembre 2017
Trump decide di spostare l’ambasciata USA a Gerusalemme, nascono nuove tensioni.
Dopo gli scontri dei giorni scorsi, vi segnalo questo articolo che ho letto giorni fa sull’ultimo numero de “L’Espresso”. http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=70121
Detto tutto ciò vorrei sentire vostre opinioni, integrazioni, critiche o altro.
Dal 1948 ad oggi, la questione arabo-israeliana
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Re: Dal 1948 ad oggi, la questione arabo-israeliana
A questa cronologia, per forza di cose sintetica, affiancherei la lettura del libro di Codovini.
http://www.tecalibri.info/C/CODOVINI-G_storia.htm
un libro molto equilibrato, il testo è accompagnato da tutti i documenti fondamentali e in appendice ha una dettagliata cronologia di oltre cento pagine. Già la sola cronologia rende molto bene l'idea di quanto sia intricata e tragica tutta la storia.
Codovini nel 2009 ha pubblicato un altro libro, non so se sia una nuova edizione del precedente con un altro titolo, non l'ho letto.
http://www.archiviostorico.info/libri-e ... alestinese
Inoltre penso che per stare aggiornati in maniera ragionata e sensata sulle questioni del medio-oriente, e non solo, è utile seguire la rivista di geopolitica Limes
http://www.limesonline.com/tag/gaza
http://www.limesonline.com/sommari-rivista
http://www.limesonline.com/
on-line sono disponibili tutti i numeri della rivista oltre agli articoli sugli eventi del momento, ma bisogna registrarsi e pagare un quota mensile di pochi euro, si può fare, ne vale la pena.
Avere una base comune e condivisa di conoscenze è utile per impostare discussioni che non scadano nella polemica sterile e superficiale legata ai fatti di cronaca che ci piacciono di più o di meno.
http://www.tecalibri.info/C/CODOVINI-G_storia.htm
un libro molto equilibrato, il testo è accompagnato da tutti i documenti fondamentali e in appendice ha una dettagliata cronologia di oltre cento pagine. Già la sola cronologia rende molto bene l'idea di quanto sia intricata e tragica tutta la storia.
Codovini nel 2009 ha pubblicato un altro libro, non so se sia una nuova edizione del precedente con un altro titolo, non l'ho letto.
http://www.archiviostorico.info/libri-e ... alestinese
Inoltre penso che per stare aggiornati in maniera ragionata e sensata sulle questioni del medio-oriente, e non solo, è utile seguire la rivista di geopolitica Limes
http://www.limesonline.com/tag/gaza
http://www.limesonline.com/sommari-rivista
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on-line sono disponibili tutti i numeri della rivista oltre agli articoli sugli eventi del momento, ma bisogna registrarsi e pagare un quota mensile di pochi euro, si può fare, ne vale la pena.
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Re: Dal 1948 ad oggi, la questione arabo-israeliana
La discussione langue.
Aggiungo, per chi volesse un interessante articolo di Gideon Levy dopo i morti del 30 marzo è apparso su Internazionale di venerdì (una rivista che a me piace moltissimo, anche se non si è d'accordo con chi scrive ci sono sempre spunti stimolanti).
In sostanza afferma, come penso abbia già fatto in passato, che l'attuale politica di Netanyahu non è altro che legittima conseguenza di quello che il popolo israeliano gli chiede. Anzi, il primo ministro si sta infatti limitando, perché i voleri del popolo che rappresenta sarebbero molto più cruenti.
Aggiungo, per chi volesse un interessante articolo di Gideon Levy dopo i morti del 30 marzo è apparso su Internazionale di venerdì (una rivista che a me piace moltissimo, anche se non si è d'accordo con chi scrive ci sono sempre spunti stimolanti).
In sostanza afferma, come penso abbia già fatto in passato, che l'attuale politica di Netanyahu non è altro che legittima conseguenza di quello che il popolo israeliano gli chiede. Anzi, il primo ministro si sta infatti limitando, perché i voleri del popolo che rappresenta sarebbero molto più cruenti.
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Re: Dal 1948 ad oggi, la questione arabo-israeliana
Non ho letto l'articolo in questione ma ne ho letti altri del medesimo autore. Gideon Levy è uno di sinistra, in questo forum diremmo di "sinistra-sinistra che più sinistra non si può" . Nei suoi articoli è aspramente critico verso le politiche dei governi israeliano verso i territori occupati, ma è troppo schierato, direi sbragato su una linea fanatica quanto quella dell'destra estrema israeliana. Sarebbe facile opporgli articoli altrettanto virulenti quanto inutili ai fini della comprensione del problema. In quello che scrive c'è molto di vero ma il suo radicalismo annulla ogni possibilità di riflessione seria su quanto di vero viene detto.
Con questo genere di pubblicistica non si va lontano. E' come se per spiegare la storia del nostro Paese ci affidassimo agli articoli di qualche teorico della dietrologia e dei complotti per raccontare i misteri d'Italia da Portella di Ginestra in poi.
Comunque , propongo anch'io due brevi letture prese da Internet.
Non so chi sia l'autore di questa riflessione sulle ragioni degli uni e degli altri http://www.linkiesta.it/it/blog-post/20 ... ese/12688/ la trovo però utile nella sua disarmante semplicità.
La seconda è po' più lunga e, lo dico esplicitamente, di parte https://www.ajc.org/sites/default/files ... talian.pdf
ripercorre la cronologia con cui è stato aperto questo topic con una certa onestà intellettuale e può essere una buona base di discussione anche confutandone in singoli punti. Consiglio di trascurare i titoli dei paragrafi che trovo spesso anche loro troppo "sbragati" rispetto all'effettivo contenuto.
Purtroppo non conosco qualcosa di equivalente di fonte palestinese o araba. E' quindi benvenuto qualsiasi suggerimento.
Con questo genere di pubblicistica non si va lontano. E' come se per spiegare la storia del nostro Paese ci affidassimo agli articoli di qualche teorico della dietrologia e dei complotti per raccontare i misteri d'Italia da Portella di Ginestra in poi.
Comunque , propongo anch'io due brevi letture prese da Internet.
Non so chi sia l'autore di questa riflessione sulle ragioni degli uni e degli altri http://www.linkiesta.it/it/blog-post/20 ... ese/12688/ la trovo però utile nella sua disarmante semplicità.
La seconda è po' più lunga e, lo dico esplicitamente, di parte https://www.ajc.org/sites/default/files ... talian.pdf
ripercorre la cronologia con cui è stato aperto questo topic con una certa onestà intellettuale e può essere una buona base di discussione anche confutandone in singoli punti. Consiglio di trascurare i titoli dei paragrafi che trovo spesso anche loro troppo "sbragati" rispetto all'effettivo contenuto.
Purtroppo non conosco qualcosa di equivalente di fonte palestinese o araba. E' quindi benvenuto qualsiasi suggerimento.
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Re: Dal 1948 ad oggi, la questione arabo-israeliana
Paolo ... Nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti...(L.Pirandello)
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Re: Dal 1948 ad oggi, la questione arabo-israeliana
Mi sembra un articolo abbastanza equilibrato, uno dei tanti che fotografa la situazione attuale.
Amo i solitari, i diversi, quelli che non incontri mai. Quelli persi, andati, spiritati, fottuti. Quelli con l'anima in fiamme.
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Re: Dal 1948 ad oggi, la questione arabo-israeliana
Per orientarsi su quanto sta avvenendo in questi giorni può essere utile la lettura di due articoli su Repubbòica:
Il primo mette in ordine cronologico il susseguirsi degli eventi attuali.
Il secondo è una sintesi, estrema, dell'intero conflitto arabo-israeliano e poi anche palestinese-israeliano.
Pubblico i testi nella speranza che a qualcuno venga la voglia di abbonarsi.
https://www.repubblica.it/esteri/2021/0 ... 9-P1-S1-T1
Dalla disputa sulle case ai razzi su Tel Aviv: come nasce la crisi
di Francesca Caferri 12 MAGGIO 2021
Quando sono iniziate le proteste?
Dall'inizio del Ramadan a metà aprile, i palestinesi si sono scontrati con la polizia israeliana, che aveva allestito barriere per fermare impedire i raduni dell’Iftar, la tradizionale cena di fine del digiuno, presso la Porta di Damasco della Città Vecchia di Gerusalemme. I palestinesi vedevano le barriere come una restrizione alla loro libertà di riunirsi. La polizia israeliana le ha giustificate come un modo per mantenere l'ordine.
Come si è arrivati alla violenza?
In questo clima, un'udienza della Corte Suprema israeliana era prevista per il 10 maggio in un procedimento legale in corso sul fatto che diverse famiglie palestinesi sarebbero state sfrattate e le loro case a Sheikh Jarrah, quartiere vicino alla Porta di Damasco, assegnate a israeliani. Alcuni coloni si sono già trasferiti nella zona, dove vivono accanto ai palestinesi che rischiavano di essere allontanati. Con l'avvicinarsi dell'udienza in tribunale, i palestinesi e gli israeliani di sinistra hanno organizzato proteste. La sentenza è stata poi rinviata.
Il contesto
La contesa su Sheikh Jarrah fa parte della più ampia disputa su Gerusalemme: per gli ebrei capitale dello Stato di Israele, riconosciuta come tale anche dagli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump. Per la comunità internazionale la parte Est è occupata dagli israeliani, e i palestinesi la rivendicano come capitale del loro Stato. Nelle zone arabe negli ultimi anni è cresciuta la presenza di coloni israeliani e dei loro insediamenti. Per quanto riguarda Sheikh Jarrah un tribunale di primo grado ha dato ragione agli ebrei, stabilendo che la terra contesa apparteneva a ebrei a Gerusalemme est prima della guerra del 1948: i palestinesi contestano la decisione e rivendicano il loro diritto di vivere nell’area e il possesso delle case costruite su quella terra.
Gli scontri
Il rinvio della sentenza della Corte Suprema non è bastato a placare gli animi: fra venerdì e domenica centinaia di palestinesi sono stati feriti in scontri con la polizia e i militari israeliani sulla Spianata delle Moschee. Lunedì la tensione è esplosa in occasione della Giornata di Gerusalemme, giorno in cui gli ebrei ricordano la conquista della città nella guerra del 1967. Hamas ha reagito agli scontri iniziando un lancio di razzi dalla Striscia di Gaza contro Gerusalemme e Tel Aviv. L’esercito israeliano ha a sua volta risposto bombardando la Striscia di Gaza. Almeno 40 persone – nella grande maggioranza palestinesi – sono morte finora nella peggiore crisi degli ultimi anni fra le due parti.
Quando sono iniziate le proteste?
Dall'inizio del Ramadan a metà aprile, i palestinesi si sono scontrati con la polizia israeliana, che aveva allestito barriere per fermare impedire i raduni dell’Iftar, la tradizionale cena di fine del digiuno, presso la Porta di Damasco della Città Vecchia di Gerusalemme. I palestinesi vedevano le barriere come una restrizione alla loro libertà di riunirsi. La polizia israeliana le ha giustificate come un modo per mantenere l'ordine.
Come si è arrivati alla violenza?
In questo clima, un'udienza della Corte Suprema israeliana era prevista per il 10 maggio in un procedimento legale in corso sul fatto che diverse famiglie palestinesi sarebbero state sfrattate e le loro case a Sheikh Jarrah, quartiere vicino alla Porta di Damasco, assegnate a israeliani. Alcuni coloni si sono già trasferiti nella zona, dove vivono accanto ai palestinesi che rischiavano di essere allontanati. Con l'avvicinarsi dell'udienza in tribunale, i palestinesi e gli israeliani di sinistra hanno organizzato proteste. La sentenza è stata poi rinviata.
Il contesto
La contesa su Sheikh Jarrah fa parte della più ampia disputa su Gerusalemme: per gli ebrei capitale dello Stato di Israele, riconosciuta come tale anche dagli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump. Per la comunità internazionale la parte Est è occupata dagli israeliani, e i palestinesi la rivendicano come capitale del loro Stato. Nelle zone arabe negli ultimi anni è cresciuta la presenza di coloni israeliani e dei loro insediamenti. Per quanto riguarda Sheikh Jarrah un tribunale di primo grado ha dato ragione agli ebrei, stabilendo che la terra contesa apparteneva a ebrei a Gerusalemme est prima della guerra del 1948: i palestinesi contestano la decisione e rivendicano il loro diritto di vivere nell’area e il possesso delle case costruite su quella terra.
Gli scontri
Il rinvio della sentenza della Corte Suprema non è bastato a placare gli animi: fra venerdì e domenica centinaia di palestinesi sono stati feriti in scontri con la polizia e i militari israeliani sulla Spianata delle Moschee. Lunedì la tensione è esplosa in occasione della Giornata di Gerusalemme, giorno in cui gli ebrei ricordano la conquista della città nella guerra del 1967. Hamas ha reagito agli scontri iniziando un lancio di razzi dalla Striscia di Gaza contro Gerusalemme e Tel Aviv. L’esercito israeliano ha a sua volta risposto bombardando la Striscia di Gaza. Almeno 40 persone – nella grande maggioranza palestinesi – sono morte finora nella peggiore crisi degli ultimi anni fra le due parti.
La politica in Israele
Gli scontri arrivano in un momento politico delicatissimo su entrambi i fronti: in Israele il premier uscente Benjamin Netanyahu non è riuscito a formare un governo pur avendo vinto la maggioranza relativa dei seggi nelle elezioni di marzo, le quarte in meno di due anni. Una crisi in questo momento - argomentano gli analisti – può accrescere la sua immagine di uomo forte del Paese, unico in grado di gestire il conflitto permanente con i palestinesi.
La politica fra i palestinesi
Dal lato opposto, l’Autorità nazionale palestinese ha rinviato le elezioni previste per il 22 maggio: avrebbero dovuto essere le prime da 15 anni a questa parte ma sono state al momento cancellate a causa di una disputa con gli israeliani sul voto a Gerusalemme Est. Il rinvio – sottolineano gli analisti – preserva Fatah (partito del presidente Abu Mazen) da una probabile sconfitta: in questi anni il partito non è riuscito a gestire in modo fruttuoso il rapporto con gli israeliani ma neanche a dare risposte a una popolazione senza prospettive, soprattutto per i giovani. E’ visto come corrotto e lontano dalle esigenze reali della gente. La crisi in corso è vista come un’occasione dai rivali di Hamas, che propongono la linea dura – e quindi il lancio di razzi - come l’unica risposta possibile agli israeliani.
https://www.repubblica.it/esteri/2021/0 ... 300597293/
Il conflitto divampato in questi giorni a Gerusalemme, Gaza, Tel Aviv e ora anche Lod potrebbe essere la terza Intifada. Oppure la nona guerra in settant'anni fra Israele e palestinesi. Comunque lo si chiami, eccone la cronistoria.
1948. Dopo che l'Onu stabilisce la partizione della Palestina in due Stati, quattro paesi arabi rifiutano il patto e attaccano le forze ebraiche, che nonostante l'inferiorità numerica e di armi vincono la loro "guerra d'indipendenza" e costituiscono lo Stato di Israele su circa metà del territorio.
"L'occupazione per i palestinesi è ormai insostenibile. Gli arabi ci abbandonano. Ma Hamas provocherà più repressione"
di Vincenzo Nigro
12 Maggio 2021
1956. La nazionalizzazione del canale di Suez da parte dell'Egitto spinge il Regno Unito e la Francia ad attaccare insieme a Israele, ma gli Stati Uniti, nuova superpotenza mondiale, su pressioni dell'Urss e delle Nazioni Unite ordinano di fatto a Londra e Parigi di ritirarsi, sicché anche lo Stato ebraico deve fare marcia indietro. "Avessimo avuto noi il comando ", dice il premier israeliano David Ben Gurion, "saremmo arrivati al Cairo in tre giorni".
1967. Rimane controverso chi l'abbia iniziata, Israele o Egitto, ma di sicuro fini molto in fretta, seguendo un ritmo da settimana biblica: nella guerra dei Sei Giorni, come verrà ricordata, l'esercito israeliano guidato da un generale con la benda all'occhio, Moshe Dayan, sbaraglia le truppe di tutti i vicini paesi arabi, riunifica Gerusalemme conquistando la Città Vecchia con il Muro del Pianto ed entra in possesso anche della Cisgiordania, rimasta parte della Giordania fra il 1948 e il '67, e della striscia di Gaza, rimasta all'Egitto nel medesimo periodo, oltre che delle alture del Golan in territorio siriano.
1973. L'attacco contemporaneo di Egitto, Giordania e Siria, ansiosi di rivincita, prende Israele di sorpresa durante la sua più importante festività: la guerra "dello Yom Kippur" vede per la prima volta lo Stato ebraico vacillare e temere il peggio. Ma un altro generale, Ariel Sharon, rovescia le sorti del conflitto con un'audace offensiva: anche lui viene fermato e richiamato indietro, stavolta dal proprio governo, quando ha già preso l'intera penisola del Sinai, raggiunto Suez e pensa di potere arrivare rapidamente al Cairo.
1982. Dopo i ripetuti attacchi dal sud del Libano da parte dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) capeggiata da Yasser Arafat, che ha fatto di Beirut la sua base, Israele invade il paese dei cedri per proteggersi. Finirà per mantenere il controllo del Libano meridionale fino al 2000, quando decide di ritirarsi volontariamente. La guerra in Libano verrà ricordata anche per la strage nei campi profughi palestinesi di Shabra e Chatila, compiuta da una milizia cristiana libanese, ma la cui responsabilità morale viene da molti assegnata al generale israeliano alla testa dell'operazione, lo stesso Sharon già protagonista della guerra del '73.
1987. Scoppia la rivolta nei territori palestinesi occupati da Israele: dura fino al 1993, è la prima Intifada, combattuta soprattutto da giovani armati soltanto di pietre contro i soldati israeliani. Il generale che comanda questi ultimi, Ytzhak Rabin, a un certo punto ordina ai suoi uomini di spezzare le dita ai ragazzi palestinesi affinché non possano più lanciare sassi. Eppure sarà proprio lui, qualche anno dopo, a stringere la mano ad Arafat sul prato della Casa Bianca aprendo il processo di pace e dando per la prima volta un'autonomia ai palestinesi in Cisgiordania e a Gaza. Obiettivo finale: due Stati, Israele e Palestina, che vivano uno accanto all'altro senza minacciarsi. Rabin e Arafat, insieme al ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres, ricevono per questo il premio Nobel per la pace. "La pace si fa tra nemici, non tra amici", afferma Rabin. Ma la decisione gli costa la vita: viene assassinato da un estremista israeliano a Tel Aviv, durante un comizio.
2000. Un altro generale israeliano, Ehud Barak, il militare più decorato al valore nella storia del suo Paese, diventato primo ministro, offre ad Arafat uno Stato con Gerusalemme Est come capitale ma il leader palestinese rifiuta. Dal fallimento del summit di Camp David, dove il presidente americano Bill Clinton aveva invitato i due leader, nasce la seconda Intifada, stavolta combattuta con attentati suicidi dei palestinesi a Tel Aviv, Gerusalemme e altre città israeliane. Barak perde il potere, al suo posto arriva l'ex generale Sharon, poi verrà Benjamin Netanyahu.
2014. Il rapimento e l'uccisione di tre giovani israeliani a Gaza provoca una massiccia invasione da parte delle forze israeliane, che anni prima si erano ritirate dalla Striscia, smantellando gli insediamenti ebraici. Seguono sette settimane di guerra, con bombardamenti e migliaia di morti.
2021. E siamo al conflitto di questi giorni, combattuto con razzi da Gaza e missili dell'aviazione israeliana, scontri nelle strade di Gerusalemme, stato di emergenza nella città arabo-israeliane di Lod dopo incidenti che fanno temere una guerra civile. Forse la terza Intifada, comunque l'ennesima guerra: la numero nove in 73 anni, fra Israele e palestinesi.
Il primo mette in ordine cronologico il susseguirsi degli eventi attuali.
Il secondo è una sintesi, estrema, dell'intero conflitto arabo-israeliano e poi anche palestinese-israeliano.
Pubblico i testi nella speranza che a qualcuno venga la voglia di abbonarsi.
https://www.repubblica.it/esteri/2021/0 ... 9-P1-S1-T1
Dalla disputa sulle case ai razzi su Tel Aviv: come nasce la crisi
di Francesca Caferri 12 MAGGIO 2021
Quando sono iniziate le proteste?
Dall'inizio del Ramadan a metà aprile, i palestinesi si sono scontrati con la polizia israeliana, che aveva allestito barriere per fermare impedire i raduni dell’Iftar, la tradizionale cena di fine del digiuno, presso la Porta di Damasco della Città Vecchia di Gerusalemme. I palestinesi vedevano le barriere come una restrizione alla loro libertà di riunirsi. La polizia israeliana le ha giustificate come un modo per mantenere l'ordine.
Come si è arrivati alla violenza?
In questo clima, un'udienza della Corte Suprema israeliana era prevista per il 10 maggio in un procedimento legale in corso sul fatto che diverse famiglie palestinesi sarebbero state sfrattate e le loro case a Sheikh Jarrah, quartiere vicino alla Porta di Damasco, assegnate a israeliani. Alcuni coloni si sono già trasferiti nella zona, dove vivono accanto ai palestinesi che rischiavano di essere allontanati. Con l'avvicinarsi dell'udienza in tribunale, i palestinesi e gli israeliani di sinistra hanno organizzato proteste. La sentenza è stata poi rinviata.
Il contesto
La contesa su Sheikh Jarrah fa parte della più ampia disputa su Gerusalemme: per gli ebrei capitale dello Stato di Israele, riconosciuta come tale anche dagli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump. Per la comunità internazionale la parte Est è occupata dagli israeliani, e i palestinesi la rivendicano come capitale del loro Stato. Nelle zone arabe negli ultimi anni è cresciuta la presenza di coloni israeliani e dei loro insediamenti. Per quanto riguarda Sheikh Jarrah un tribunale di primo grado ha dato ragione agli ebrei, stabilendo che la terra contesa apparteneva a ebrei a Gerusalemme est prima della guerra del 1948: i palestinesi contestano la decisione e rivendicano il loro diritto di vivere nell’area e il possesso delle case costruite su quella terra.
Gli scontri
Il rinvio della sentenza della Corte Suprema non è bastato a placare gli animi: fra venerdì e domenica centinaia di palestinesi sono stati feriti in scontri con la polizia e i militari israeliani sulla Spianata delle Moschee. Lunedì la tensione è esplosa in occasione della Giornata di Gerusalemme, giorno in cui gli ebrei ricordano la conquista della città nella guerra del 1967. Hamas ha reagito agli scontri iniziando un lancio di razzi dalla Striscia di Gaza contro Gerusalemme e Tel Aviv. L’esercito israeliano ha a sua volta risposto bombardando la Striscia di Gaza. Almeno 40 persone – nella grande maggioranza palestinesi – sono morte finora nella peggiore crisi degli ultimi anni fra le due parti.
Quando sono iniziate le proteste?
Dall'inizio del Ramadan a metà aprile, i palestinesi si sono scontrati con la polizia israeliana, che aveva allestito barriere per fermare impedire i raduni dell’Iftar, la tradizionale cena di fine del digiuno, presso la Porta di Damasco della Città Vecchia di Gerusalemme. I palestinesi vedevano le barriere come una restrizione alla loro libertà di riunirsi. La polizia israeliana le ha giustificate come un modo per mantenere l'ordine.
Come si è arrivati alla violenza?
In questo clima, un'udienza della Corte Suprema israeliana era prevista per il 10 maggio in un procedimento legale in corso sul fatto che diverse famiglie palestinesi sarebbero state sfrattate e le loro case a Sheikh Jarrah, quartiere vicino alla Porta di Damasco, assegnate a israeliani. Alcuni coloni si sono già trasferiti nella zona, dove vivono accanto ai palestinesi che rischiavano di essere allontanati. Con l'avvicinarsi dell'udienza in tribunale, i palestinesi e gli israeliani di sinistra hanno organizzato proteste. La sentenza è stata poi rinviata.
Il contesto
La contesa su Sheikh Jarrah fa parte della più ampia disputa su Gerusalemme: per gli ebrei capitale dello Stato di Israele, riconosciuta come tale anche dagli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump. Per la comunità internazionale la parte Est è occupata dagli israeliani, e i palestinesi la rivendicano come capitale del loro Stato. Nelle zone arabe negli ultimi anni è cresciuta la presenza di coloni israeliani e dei loro insediamenti. Per quanto riguarda Sheikh Jarrah un tribunale di primo grado ha dato ragione agli ebrei, stabilendo che la terra contesa apparteneva a ebrei a Gerusalemme est prima della guerra del 1948: i palestinesi contestano la decisione e rivendicano il loro diritto di vivere nell’area e il possesso delle case costruite su quella terra.
Gli scontri
Il rinvio della sentenza della Corte Suprema non è bastato a placare gli animi: fra venerdì e domenica centinaia di palestinesi sono stati feriti in scontri con la polizia e i militari israeliani sulla Spianata delle Moschee. Lunedì la tensione è esplosa in occasione della Giornata di Gerusalemme, giorno in cui gli ebrei ricordano la conquista della città nella guerra del 1967. Hamas ha reagito agli scontri iniziando un lancio di razzi dalla Striscia di Gaza contro Gerusalemme e Tel Aviv. L’esercito israeliano ha a sua volta risposto bombardando la Striscia di Gaza. Almeno 40 persone – nella grande maggioranza palestinesi – sono morte finora nella peggiore crisi degli ultimi anni fra le due parti.
La politica in Israele
Gli scontri arrivano in un momento politico delicatissimo su entrambi i fronti: in Israele il premier uscente Benjamin Netanyahu non è riuscito a formare un governo pur avendo vinto la maggioranza relativa dei seggi nelle elezioni di marzo, le quarte in meno di due anni. Una crisi in questo momento - argomentano gli analisti – può accrescere la sua immagine di uomo forte del Paese, unico in grado di gestire il conflitto permanente con i palestinesi.
La politica fra i palestinesi
Dal lato opposto, l’Autorità nazionale palestinese ha rinviato le elezioni previste per il 22 maggio: avrebbero dovuto essere le prime da 15 anni a questa parte ma sono state al momento cancellate a causa di una disputa con gli israeliani sul voto a Gerusalemme Est. Il rinvio – sottolineano gli analisti – preserva Fatah (partito del presidente Abu Mazen) da una probabile sconfitta: in questi anni il partito non è riuscito a gestire in modo fruttuoso il rapporto con gli israeliani ma neanche a dare risposte a una popolazione senza prospettive, soprattutto per i giovani. E’ visto come corrotto e lontano dalle esigenze reali della gente. La crisi in corso è vista come un’occasione dai rivali di Hamas, che propongono la linea dura – e quindi il lancio di razzi - come l’unica risposta possibile agli israeliani.
https://www.repubblica.it/esteri/2021/0 ... 300597293/
Il conflitto divampato in questi giorni a Gerusalemme, Gaza, Tel Aviv e ora anche Lod potrebbe essere la terza Intifada. Oppure la nona guerra in settant'anni fra Israele e palestinesi. Comunque lo si chiami, eccone la cronistoria.
1948. Dopo che l'Onu stabilisce la partizione della Palestina in due Stati, quattro paesi arabi rifiutano il patto e attaccano le forze ebraiche, che nonostante l'inferiorità numerica e di armi vincono la loro "guerra d'indipendenza" e costituiscono lo Stato di Israele su circa metà del territorio.
"L'occupazione per i palestinesi è ormai insostenibile. Gli arabi ci abbandonano. Ma Hamas provocherà più repressione"
di Vincenzo Nigro
12 Maggio 2021
1956. La nazionalizzazione del canale di Suez da parte dell'Egitto spinge il Regno Unito e la Francia ad attaccare insieme a Israele, ma gli Stati Uniti, nuova superpotenza mondiale, su pressioni dell'Urss e delle Nazioni Unite ordinano di fatto a Londra e Parigi di ritirarsi, sicché anche lo Stato ebraico deve fare marcia indietro. "Avessimo avuto noi il comando ", dice il premier israeliano David Ben Gurion, "saremmo arrivati al Cairo in tre giorni".
1967. Rimane controverso chi l'abbia iniziata, Israele o Egitto, ma di sicuro fini molto in fretta, seguendo un ritmo da settimana biblica: nella guerra dei Sei Giorni, come verrà ricordata, l'esercito israeliano guidato da un generale con la benda all'occhio, Moshe Dayan, sbaraglia le truppe di tutti i vicini paesi arabi, riunifica Gerusalemme conquistando la Città Vecchia con il Muro del Pianto ed entra in possesso anche della Cisgiordania, rimasta parte della Giordania fra il 1948 e il '67, e della striscia di Gaza, rimasta all'Egitto nel medesimo periodo, oltre che delle alture del Golan in territorio siriano.
1973. L'attacco contemporaneo di Egitto, Giordania e Siria, ansiosi di rivincita, prende Israele di sorpresa durante la sua più importante festività: la guerra "dello Yom Kippur" vede per la prima volta lo Stato ebraico vacillare e temere il peggio. Ma un altro generale, Ariel Sharon, rovescia le sorti del conflitto con un'audace offensiva: anche lui viene fermato e richiamato indietro, stavolta dal proprio governo, quando ha già preso l'intera penisola del Sinai, raggiunto Suez e pensa di potere arrivare rapidamente al Cairo.
1982. Dopo i ripetuti attacchi dal sud del Libano da parte dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) capeggiata da Yasser Arafat, che ha fatto di Beirut la sua base, Israele invade il paese dei cedri per proteggersi. Finirà per mantenere il controllo del Libano meridionale fino al 2000, quando decide di ritirarsi volontariamente. La guerra in Libano verrà ricordata anche per la strage nei campi profughi palestinesi di Shabra e Chatila, compiuta da una milizia cristiana libanese, ma la cui responsabilità morale viene da molti assegnata al generale israeliano alla testa dell'operazione, lo stesso Sharon già protagonista della guerra del '73.
1987. Scoppia la rivolta nei territori palestinesi occupati da Israele: dura fino al 1993, è la prima Intifada, combattuta soprattutto da giovani armati soltanto di pietre contro i soldati israeliani. Il generale che comanda questi ultimi, Ytzhak Rabin, a un certo punto ordina ai suoi uomini di spezzare le dita ai ragazzi palestinesi affinché non possano più lanciare sassi. Eppure sarà proprio lui, qualche anno dopo, a stringere la mano ad Arafat sul prato della Casa Bianca aprendo il processo di pace e dando per la prima volta un'autonomia ai palestinesi in Cisgiordania e a Gaza. Obiettivo finale: due Stati, Israele e Palestina, che vivano uno accanto all'altro senza minacciarsi. Rabin e Arafat, insieme al ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres, ricevono per questo il premio Nobel per la pace. "La pace si fa tra nemici, non tra amici", afferma Rabin. Ma la decisione gli costa la vita: viene assassinato da un estremista israeliano a Tel Aviv, durante un comizio.
2000. Un altro generale israeliano, Ehud Barak, il militare più decorato al valore nella storia del suo Paese, diventato primo ministro, offre ad Arafat uno Stato con Gerusalemme Est come capitale ma il leader palestinese rifiuta. Dal fallimento del summit di Camp David, dove il presidente americano Bill Clinton aveva invitato i due leader, nasce la seconda Intifada, stavolta combattuta con attentati suicidi dei palestinesi a Tel Aviv, Gerusalemme e altre città israeliane. Barak perde il potere, al suo posto arriva l'ex generale Sharon, poi verrà Benjamin Netanyahu.
2014. Il rapimento e l'uccisione di tre giovani israeliani a Gaza provoca una massiccia invasione da parte delle forze israeliane, che anni prima si erano ritirate dalla Striscia, smantellando gli insediamenti ebraici. Seguono sette settimane di guerra, con bombardamenti e migliaia di morti.
2021. E siamo al conflitto di questi giorni, combattuto con razzi da Gaza e missili dell'aviazione israeliana, scontri nelle strade di Gerusalemme, stato di emergenza nella città arabo-israeliane di Lod dopo incidenti che fanno temere una guerra civile. Forse la terza Intifada, comunque l'ennesima guerra: la numero nove in 73 anni, fra Israele e palestinesi.
Amo i solitari, i diversi, quelli che non incontri mai. Quelli persi, andati, spiritati, fottuti. Quelli con l'anima in fiamme.
(Charles Bukowski)
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Re: Dal 1948 ad oggi, la questione arabo-israeliana
I palestinesi sono quel popolo di cui non si può nemmeno dire aiutiamoli a casa loro, perché casa loro, poco a poco, se l’è presa qualcun altro.
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Re: Dal 1948 ad oggi, la questione arabo-israeliana
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Quaestio subtilissima, utrum Chimera in vacuo bombinans possit comedere secundus intentiones, et fuit debatuta per decem hebdomadas in concilio Constantiensi
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Re: Dal 1948 ad oggi, la questione arabo-israeliana
Due interviste, aDavid Grossman e Ali Jarbawi; due persone che sanno ragionare al di fuori delle frasi fatte, luoghi comuni, stereotipi, ecc. Soprattutto sono testimoni dell'evoluzione della questione in questi ultimi cinquant'anni. Hanno vissuto tutte le speranze e delusioni che hanno accompagnato la nostra generazione. Purtroppo ora rimane solo un profondo e ragionato pessimismo.
Pubblico i testi nella speranza che a qualcuno venga la voglia di abbonarsi.
https://www.repubblica.it/esteri/2021/0 ... 300707505/
David Grossman “A rischio il fragile equilibrio di Israele: così perdiamo tutti”
di Francesca Caferri
(afp)
L’intervista allo scrittore: "La violenza fra arabi israeliani ed ebrei è orribile: spezza ogni idea di coesistenza, la speranza di vivere l’uno accanto all’altro"
12 MAGGIO 2021
Ansia. Delusione. Amarezza. E anche paura: c’è tutto questo nella voce di David Grossman, uno dei maggiori scrittori israeliani contemporanei, quando risponde al telefono dalla sua casa non lontano da Gerusalemme. «Abbiamo avuto quattro esplosioni abbastanza vicine da sentirle con chiarezza. Vicinissime a luoghi dove ci sono mio figlio, mia nipote, alcuni amici. Ho 67 anni e ho vissuto diverse situazioni estreme: ma questa è una delle peggiori».
Grossman, lei è un attento osservatore della realtà del suo Paese: riesce a spiegarci come ha fatto la situazione a precipitare tanto in fretta?
«Se guarda alle operazioni militari a cui abbiamo assistito dal 2006 ad oggi, sono tutte nate in fretta. È un accumularsi di minacce, rabbia, frustrazione: a un certo punto scoppia e ci troviamo improvvisamente nel mezzo di un’operazione militare. O di una vera guerra. La spiegazione è logica, ma non basta per smettere di chiedersi come sia possibile che dopo tutti questi anni siamo ancora prigionieri di questo circolo vizioso, senza che si intraveda una via d’uscita».
Questa volta però c’è un elemento diverso: gli scontri fra cittadini arabi israeliani e cittadini ebrei israeliani sono a un livello mai raggiunto prima.
«È una situazione estremamente pericolosa: quando parliamo di arabi israeliani, parliamo di un quinto della popolazione israeliana. Persone che sulla carta hanno tutti i diritti, ma che nella realtà si vedono negate moltissime cose: basti pensare alla legge che dichiara Israele Stato nazione degli ebrei e che fa degli arabi quasi cittadini di serie B. O al bilancio dello Stato, che non stanzia mai per queste comunità fondi sufficienti per combattere criminalità e violenza: magari perché fa comodo a molti che la comunità araba sia afflitta da questi problemi. E poi ci sono eventi come la marcia che celebra il Giorno di Gerusalemme, in cui i partecipanti danzano con bandiere di Israele dentro la Città vecchia: è come se facessimo qualunque cosa possibile per provocare i palestinesi e dimostrare loro quanto siamo forti noi e quanto sono deboli loro. Lunedì scorso Benjamin Netanyahu ha ordinato di cancellare la marcia solo all’ultimo minuto: ma l’incendio era già acceso e le scintille si sono diffuse. Hamas le ha colte come pretesto per dichiararsi protettore di Gerusalemme e ha appiccato il fuoco. È una violenza orribile quella di cui mi chiede perché spezza ogni idea di coesistenza, il sottile filo che si era creato negli anni e che faceva pensare che gradualmente saremmo riusciti a vivere l’uno accanto all’altro. Per la prima volta dopo le ultime elezioni un partito arabo era nella posizione di poter influenzare la scelta su chi sarebbe stato primo ministro. Un segnale importante, ma non è bastato».
Perché? In fondo, il successo del partito islamista Raam è stato il vero elemento di novità dell’ultimo voto...
«Dobbiamo guardare al fenomeno globale. E il fenomeno globale ci dice che, dopo 73 anni dalla creazione dello Stato di Israele, la maggioranza ebraica ha generosamente concesso a un partito arabo-israeliano di giocare un ruolo nella costituzione di una coalizione. È una cosa ridicola: ci abbiamo messo 73 anni a legittimare i nostri concittadini. E non è neanche una posizione condivisa da tutti: quante volte in questi mesi abbiamo sentito le parole: “Mai con l’appoggio degli arabi”. Ora chiunque abbia aperto alla possibilità di collaborare con loro è accusato di essere un traditore».
Questa posizione però è il risultato anche di anni di assenza di dibattito pubblico: la soluzione dei due Stati è tramontata, ma al suo posto non si è affermata un’idea alternativa. Il dibattito fra i due lati si è fermato, è come se anche chi come lei per anni ha parlato di pace avesse perso la speranza: è così?
«Abbiamo parlato per decenni con i palestinesi e non siamo arrivati da nessuna parte. Chi per anni ha sostenuto il dialogo è stato delegittimato dall’assenza di risultati e oggi è visto come una sorta di traditore. Da entrambi i lati, crescono solo gli elementi più violenti ed estremisti. Si nutrono l’uno dell’altro: ogni volta che c’è un conflitto lo usano per legittimare le loro posizioni estremiste».
Ha visto tante crisi simili, come crede che finirà questa?
«Per esaurimento, come sempre. Uno dei due lati a un certo punto non ce la farà più e inizierà una mediazione: bisognerà solo vedere quante persone moriranno nel frattempo. In una situazione che sarebbe potuto essere prevenuta».
All’inizio di questa intervista, lei ha parlato di paura: vorrei chiudere chiedendole qual è oggi la sua paura maggiore.
«È facile risponderle. Vedo il fragile equilibrio su cui si basa la società israeliana a rischio oggi: e so che se non riusciremo ad arrivare a uno Stato in cui le due comunità si sentiranno a casa, perfettamente uguali, e potranno contare sul fatto che le loro vite hanno lo stesso peso sulla bilancia, avremo perso tutti. Solo se la minoranza arabo- israeliana si sentirà protetta e la maggioranza di religione ebraica non minacciata, ci sarà la possibilità di creare qualcosa di valore e si ridurrà lo spazio per la violenza. Da entrambe le parti. È il mio sogno, la mia speranza, e oggi il mio timore maggiore è che si spezzi».
https://www.repubblica.it/esteri/2021/0 ... 300591525/
"L'occupazione per i palestinesi è ormai insostenibile. Gli arabi ci abbandonano. Ma Hamas provocherà più repressione"
di Vincenzo Nigro
Parla Ali Jarbawi, 67 anni, professore di Scienze politiche a Bir Zeit, in passato ministro della Pianificazione nel governo palestinese del premier Salem Fayyad. "Sul fronte politico interno Netanyahu potrebbe beneficiare da un periodo prolungato di scontri"
12 MAGGIO 2021
ALI JARBAWI, 67 anni, professore di Scienze politiche a Bir Zeit, laureato all’università americana di Cincinnati, è stato ministro della Pianificazione nel governo del premier Salem Fayyad, un uomo su cui gli Stati Uniti avevano riposto mille speranze.
Come si è arrivati a questa nuova esplosione di violenza?
“La dinamica è abbastanza chiara: è stato un crescendo che tutti possono ricostruire andando a rileggere i giornali, le notizie dei siti israeliani e palestinesi diciamo dell’ultimo mese. La questione decisiva è quella del quartiere arabo di Gerusalemme di Sheikh Jarrah, dove 12 famiglie palestinesi rischiano di essere sfrattate per una decisione della giustizia israeliana dalle abitazioni dove vivono da decenni. Una giustizia che viene considerata dai cittadini palestinesi strumento delle pressioni dei coloni ebrei e dell’ultradestra che vuole liberare Gerusalemme dalla presenza dei palestinesi. Poi c’è stato lo scontro attorno al Bab Al Amoud (anche nota come porta di Damasco, n.d.r.). La polizia ha installato delle barriere, i giovani che volevano riunirsi la sera per il Ramadan hanno iniziato a manifestare e a scontrarsi. Poi c’è stata l’esplosione di violenze sulla Spianata delle Moschee, con gli scontri che tutti avete visto in tv, con i fumogeni che sono entrati perfino all’interno della moschea di Al Aqsa”.
Ma perché proprio adesso? Ci sono partiti o movimenti che hanno preparato questa fase di rivolta?
“Partiti, gruppi politici e di militanza palestinese sono già saltati su questo movimento per sfruttarlo politicamente. Ma credo che l’esplosione sia stata innescata autonomamente da anni di compressione dei diritti dei cittadini palestinesi, dalla sensazione che il nostro popolo sia stato definitivamente abbandonato a un destino di occupazione militare che ci sta soffocando”.
I primi ad aver abbandonato quella che una volta era la “causa palestinese” sembrano essere proprio gli altri paesi arabi.
“È vero, e questa è l’impressione dei palestinesi. Ci sono mille ragioni: innanzitutto paesi come Libia, Yemen, Libano, Siria, Iraq attraversano ancora anni profonda instabilità politica se non di guerra. Gli altri paesi, i più importanti del mondo arabo, sono tutti impegnati a seguire, controllare, provare a influenzare questi sviluppi. Che siano gli arabi ad aver abbandonato i palestinesi, o l’Europa o l’America che con Trump aveva preso una direzione radicalmente antipalestinese, il risultato non cambia. E giorno dopo giorno ha un effetto sul nostro popolo: cresce soltanto la disperazione”.
L’epicentro di questa fase di scontri è stata Gerusalemme
“Perché a Gerusalemme la compressione dei diritti dei palestinesi, la loro possibilità di vivere una vita semplice, normale, è drammaticamente alta. Da quando Trump ha offerto a Netanyahu la sua decisione di spostare l’ambasciata da Tel Aviv, di riconoscere tutta la città come capitale di Israele, Netanyahu e la destra israeliana non hanno avuto più nessun freno. E questo significa far di tutto per espellere in ogni modo i palestinesi. Iniziando a comprimere in ogni modo i loro diritti. I palestinesi di Gerusalemme sono isolati dai palestinesi della Cisgiordania. In effetti sono questi ultimi a non poter entrare a Gerusalemme senza permessi, ma di fatto l’isolamento è reciproco. A Gerusalemme est i palestinesi vivono in gabbia”.
Lei dice che quindi è la gente, i giovani, la popolazione normale ad aver avviato questo ciclo di violenze?
“Si, è quello che penso. Poi chiunque tenterà di sfruttare a suo vantaggio questa situazione, da Hamas o altri nel nostro campo, oppure i partiti dell’ultradestra israeliana. Ma la ragione fondamentale è questa: l’occupazione militare sta soffocando il popolo palestinese”.
Hamas ne ha approfittato per attaccare Israele, per allargare la sua legittimità agli occhi dei cittadini palestinesi colpendo civili israeliani con i suoi razzi?
“L’Anp ha deciso di perseguire gli interessi del popolo palestinese con la politica, con negoziati poltici. Hamas crede alla resistenza, alla lotta armata. Quando ha visto questa escalation ha scelto di cavalcare il movimento, di lanciare centinaia di razzi anche sapendo che la risposta militare di Israele sarebbe stata pesantissima. I capi di Hamas hanno già chiesto a egiziani e ad altri mediatori di negoziare una tregua perché sono soddisfatti dei risultati che hanno ottenuto. Ma per il momento Netanyahu non vuole una tregua, devono vendicarsi dei razzi che Hamas ha lanciato sulle città centrali di Israele”.
Ministro, crede che si possa arrivare comunque a una guerra generalizzata, all’ingresso dell’esercito di Israele a Gaza?
“Al momento, se non ci saranno episodi gravi ma sempre possibili, io penso che la situazione tornerà sotto controllo in alcuni giorni. Netanyahu ha detto che Hamas dovrà pagare un prezzo molto alto. Ma non credo che nessuno in Israele sia pronto a lanciare un attacco di terra, con carri armati e soldati che entrano nella Striscia. Tra l’altro in tutto questo c’è la partita di politica interna che sta giocando Netanyahu”.
Infatti, una variabile molto delicata potrebbe essere quella dell’interesse di Netanyahu a continuare una guerra oltre il necessario…
“Lui potrebbe beneficiare di un periodo ancora prolungato di scontri, potrebbe chiedere un governo di unità nazionale, per scompigliare i piani dei partiti che con molta fatica stavano provando a formare un governo senza di lui”.
In tutto questo voi palestinesi moderati, assieme alla Autorità palestinese del presidente Abu Mazen, sembrate sempre più in difficoltà, quasi irrilevanti sulla scena politica del vostro popolo.
“E’ molto difficile essere un palestinese moderato in questi periodi di esplosione della violenza. Ma dopo anni di compressione di tutti i nostri diritti, noi oggi abbiamo capito una cosa: noi non abbiamo più un partner in Israele per costruire il famoso accordo politico 'due popoli, due Stati'. Erano gli israeliani a dirci 'non abbiamo un partner per la pace'. Con tutti i nostri difetti e problemi, il partner palestinese c’era. Adesso invece è la parte palestinese a non avere una controparte. Israele ha deciso di fare tutto da sola, ha stretto accordi con paesi arabi che non mostrano più nessun vero interesse a far cessare l’occupazione militare. La soluzione dei due Stati ormai non è più nella testa di Netanyahu e di molti altri”.
Lei dice che Netanyahu ormai è irrecuperabile al dialogo con l’Anp, con i palestinesi moderati?
“Io paradossalmente le dico che nello spettro politico israeliano Netanyahu rimane il più cinico di tutti, ma è quasi un uomo politico di centro, non più di destra. La politica israeliana si è spostata drammaticamente verso destra, anzi verso l’ultradestra. Senza i partiti religiosi, senza gli ultraortodossi è difficile, quasi impossibile formare un governo. Senza il voto dei coloni della Cisgiordania, senza il sostegno dei movimenti radicali dei coloni che vogliono entrare a Gerusalemme Est lo stesso Netanyahu non riesce a formare un governo. Questo è un dramma per noi: ripeto, siamo noi palestinesi moderati a non avere più un partner per la pace in Israele”.
In queste condizioni quale sarebbe una proposta accettabile per una soluzione politica?
“Al momento non ne vedo. Girano da mesi idee di uno 'Stato minus' palestinese, una sorta di autonomia ancora più limitata di tutte le riduzioni che negli anni erano state previste per avere un giorno un nostro piccolo Stato. Abu Mazen è in un angolo, i palestinesi della strada gli chiedono 'dove ci porti se Israele non ci dà nulla?'. Per questo per tanti Hamas sembra la risposta giusta, anche se tutti sappiamo che l'azione militare di Hamas provocherà più repressione e compatterà buon parte del mondo attorno a Netanyahu”.
Ultima domanda: a parte lo scontro con Hamas, crede che a Gerusalemme, in Cisgiordania sia possibile assistere a una nuova Intifada, a una rivolta popolare prolungata?
“È difficile dirlo, il livello di frustrazione è altissimo. Non posso dire per quanto l’occupazione militare continuerà ad avere il controllo di un altro popolo, ma non potrà continuare così all’infinito”.
Pubblico i testi nella speranza che a qualcuno venga la voglia di abbonarsi.
https://www.repubblica.it/esteri/2021/0 ... 300707505/
David Grossman “A rischio il fragile equilibrio di Israele: così perdiamo tutti”
di Francesca Caferri
(afp)
L’intervista allo scrittore: "La violenza fra arabi israeliani ed ebrei è orribile: spezza ogni idea di coesistenza, la speranza di vivere l’uno accanto all’altro"
12 MAGGIO 2021
Ansia. Delusione. Amarezza. E anche paura: c’è tutto questo nella voce di David Grossman, uno dei maggiori scrittori israeliani contemporanei, quando risponde al telefono dalla sua casa non lontano da Gerusalemme. «Abbiamo avuto quattro esplosioni abbastanza vicine da sentirle con chiarezza. Vicinissime a luoghi dove ci sono mio figlio, mia nipote, alcuni amici. Ho 67 anni e ho vissuto diverse situazioni estreme: ma questa è una delle peggiori».
Grossman, lei è un attento osservatore della realtà del suo Paese: riesce a spiegarci come ha fatto la situazione a precipitare tanto in fretta?
«Se guarda alle operazioni militari a cui abbiamo assistito dal 2006 ad oggi, sono tutte nate in fretta. È un accumularsi di minacce, rabbia, frustrazione: a un certo punto scoppia e ci troviamo improvvisamente nel mezzo di un’operazione militare. O di una vera guerra. La spiegazione è logica, ma non basta per smettere di chiedersi come sia possibile che dopo tutti questi anni siamo ancora prigionieri di questo circolo vizioso, senza che si intraveda una via d’uscita».
Questa volta però c’è un elemento diverso: gli scontri fra cittadini arabi israeliani e cittadini ebrei israeliani sono a un livello mai raggiunto prima.
«È una situazione estremamente pericolosa: quando parliamo di arabi israeliani, parliamo di un quinto della popolazione israeliana. Persone che sulla carta hanno tutti i diritti, ma che nella realtà si vedono negate moltissime cose: basti pensare alla legge che dichiara Israele Stato nazione degli ebrei e che fa degli arabi quasi cittadini di serie B. O al bilancio dello Stato, che non stanzia mai per queste comunità fondi sufficienti per combattere criminalità e violenza: magari perché fa comodo a molti che la comunità araba sia afflitta da questi problemi. E poi ci sono eventi come la marcia che celebra il Giorno di Gerusalemme, in cui i partecipanti danzano con bandiere di Israele dentro la Città vecchia: è come se facessimo qualunque cosa possibile per provocare i palestinesi e dimostrare loro quanto siamo forti noi e quanto sono deboli loro. Lunedì scorso Benjamin Netanyahu ha ordinato di cancellare la marcia solo all’ultimo minuto: ma l’incendio era già acceso e le scintille si sono diffuse. Hamas le ha colte come pretesto per dichiararsi protettore di Gerusalemme e ha appiccato il fuoco. È una violenza orribile quella di cui mi chiede perché spezza ogni idea di coesistenza, il sottile filo che si era creato negli anni e che faceva pensare che gradualmente saremmo riusciti a vivere l’uno accanto all’altro. Per la prima volta dopo le ultime elezioni un partito arabo era nella posizione di poter influenzare la scelta su chi sarebbe stato primo ministro. Un segnale importante, ma non è bastato».
Perché? In fondo, il successo del partito islamista Raam è stato il vero elemento di novità dell’ultimo voto...
«Dobbiamo guardare al fenomeno globale. E il fenomeno globale ci dice che, dopo 73 anni dalla creazione dello Stato di Israele, la maggioranza ebraica ha generosamente concesso a un partito arabo-israeliano di giocare un ruolo nella costituzione di una coalizione. È una cosa ridicola: ci abbiamo messo 73 anni a legittimare i nostri concittadini. E non è neanche una posizione condivisa da tutti: quante volte in questi mesi abbiamo sentito le parole: “Mai con l’appoggio degli arabi”. Ora chiunque abbia aperto alla possibilità di collaborare con loro è accusato di essere un traditore».
Questa posizione però è il risultato anche di anni di assenza di dibattito pubblico: la soluzione dei due Stati è tramontata, ma al suo posto non si è affermata un’idea alternativa. Il dibattito fra i due lati si è fermato, è come se anche chi come lei per anni ha parlato di pace avesse perso la speranza: è così?
«Abbiamo parlato per decenni con i palestinesi e non siamo arrivati da nessuna parte. Chi per anni ha sostenuto il dialogo è stato delegittimato dall’assenza di risultati e oggi è visto come una sorta di traditore. Da entrambi i lati, crescono solo gli elementi più violenti ed estremisti. Si nutrono l’uno dell’altro: ogni volta che c’è un conflitto lo usano per legittimare le loro posizioni estremiste».
Ha visto tante crisi simili, come crede che finirà questa?
«Per esaurimento, come sempre. Uno dei due lati a un certo punto non ce la farà più e inizierà una mediazione: bisognerà solo vedere quante persone moriranno nel frattempo. In una situazione che sarebbe potuto essere prevenuta».
All’inizio di questa intervista, lei ha parlato di paura: vorrei chiudere chiedendole qual è oggi la sua paura maggiore.
«È facile risponderle. Vedo il fragile equilibrio su cui si basa la società israeliana a rischio oggi: e so che se non riusciremo ad arrivare a uno Stato in cui le due comunità si sentiranno a casa, perfettamente uguali, e potranno contare sul fatto che le loro vite hanno lo stesso peso sulla bilancia, avremo perso tutti. Solo se la minoranza arabo- israeliana si sentirà protetta e la maggioranza di religione ebraica non minacciata, ci sarà la possibilità di creare qualcosa di valore e si ridurrà lo spazio per la violenza. Da entrambe le parti. È il mio sogno, la mia speranza, e oggi il mio timore maggiore è che si spezzi».
https://www.repubblica.it/esteri/2021/0 ... 300591525/
"L'occupazione per i palestinesi è ormai insostenibile. Gli arabi ci abbandonano. Ma Hamas provocherà più repressione"
di Vincenzo Nigro
Parla Ali Jarbawi, 67 anni, professore di Scienze politiche a Bir Zeit, in passato ministro della Pianificazione nel governo palestinese del premier Salem Fayyad. "Sul fronte politico interno Netanyahu potrebbe beneficiare da un periodo prolungato di scontri"
12 MAGGIO 2021
ALI JARBAWI, 67 anni, professore di Scienze politiche a Bir Zeit, laureato all’università americana di Cincinnati, è stato ministro della Pianificazione nel governo del premier Salem Fayyad, un uomo su cui gli Stati Uniti avevano riposto mille speranze.
Come si è arrivati a questa nuova esplosione di violenza?
“La dinamica è abbastanza chiara: è stato un crescendo che tutti possono ricostruire andando a rileggere i giornali, le notizie dei siti israeliani e palestinesi diciamo dell’ultimo mese. La questione decisiva è quella del quartiere arabo di Gerusalemme di Sheikh Jarrah, dove 12 famiglie palestinesi rischiano di essere sfrattate per una decisione della giustizia israeliana dalle abitazioni dove vivono da decenni. Una giustizia che viene considerata dai cittadini palestinesi strumento delle pressioni dei coloni ebrei e dell’ultradestra che vuole liberare Gerusalemme dalla presenza dei palestinesi. Poi c’è stato lo scontro attorno al Bab Al Amoud (anche nota come porta di Damasco, n.d.r.). La polizia ha installato delle barriere, i giovani che volevano riunirsi la sera per il Ramadan hanno iniziato a manifestare e a scontrarsi. Poi c’è stata l’esplosione di violenze sulla Spianata delle Moschee, con gli scontri che tutti avete visto in tv, con i fumogeni che sono entrati perfino all’interno della moschea di Al Aqsa”.
Ma perché proprio adesso? Ci sono partiti o movimenti che hanno preparato questa fase di rivolta?
“Partiti, gruppi politici e di militanza palestinese sono già saltati su questo movimento per sfruttarlo politicamente. Ma credo che l’esplosione sia stata innescata autonomamente da anni di compressione dei diritti dei cittadini palestinesi, dalla sensazione che il nostro popolo sia stato definitivamente abbandonato a un destino di occupazione militare che ci sta soffocando”.
I primi ad aver abbandonato quella che una volta era la “causa palestinese” sembrano essere proprio gli altri paesi arabi.
“È vero, e questa è l’impressione dei palestinesi. Ci sono mille ragioni: innanzitutto paesi come Libia, Yemen, Libano, Siria, Iraq attraversano ancora anni profonda instabilità politica se non di guerra. Gli altri paesi, i più importanti del mondo arabo, sono tutti impegnati a seguire, controllare, provare a influenzare questi sviluppi. Che siano gli arabi ad aver abbandonato i palestinesi, o l’Europa o l’America che con Trump aveva preso una direzione radicalmente antipalestinese, il risultato non cambia. E giorno dopo giorno ha un effetto sul nostro popolo: cresce soltanto la disperazione”.
L’epicentro di questa fase di scontri è stata Gerusalemme
“Perché a Gerusalemme la compressione dei diritti dei palestinesi, la loro possibilità di vivere una vita semplice, normale, è drammaticamente alta. Da quando Trump ha offerto a Netanyahu la sua decisione di spostare l’ambasciata da Tel Aviv, di riconoscere tutta la città come capitale di Israele, Netanyahu e la destra israeliana non hanno avuto più nessun freno. E questo significa far di tutto per espellere in ogni modo i palestinesi. Iniziando a comprimere in ogni modo i loro diritti. I palestinesi di Gerusalemme sono isolati dai palestinesi della Cisgiordania. In effetti sono questi ultimi a non poter entrare a Gerusalemme senza permessi, ma di fatto l’isolamento è reciproco. A Gerusalemme est i palestinesi vivono in gabbia”.
Lei dice che quindi è la gente, i giovani, la popolazione normale ad aver avviato questo ciclo di violenze?
“Si, è quello che penso. Poi chiunque tenterà di sfruttare a suo vantaggio questa situazione, da Hamas o altri nel nostro campo, oppure i partiti dell’ultradestra israeliana. Ma la ragione fondamentale è questa: l’occupazione militare sta soffocando il popolo palestinese”.
Hamas ne ha approfittato per attaccare Israele, per allargare la sua legittimità agli occhi dei cittadini palestinesi colpendo civili israeliani con i suoi razzi?
“L’Anp ha deciso di perseguire gli interessi del popolo palestinese con la politica, con negoziati poltici. Hamas crede alla resistenza, alla lotta armata. Quando ha visto questa escalation ha scelto di cavalcare il movimento, di lanciare centinaia di razzi anche sapendo che la risposta militare di Israele sarebbe stata pesantissima. I capi di Hamas hanno già chiesto a egiziani e ad altri mediatori di negoziare una tregua perché sono soddisfatti dei risultati che hanno ottenuto. Ma per il momento Netanyahu non vuole una tregua, devono vendicarsi dei razzi che Hamas ha lanciato sulle città centrali di Israele”.
Ministro, crede che si possa arrivare comunque a una guerra generalizzata, all’ingresso dell’esercito di Israele a Gaza?
“Al momento, se non ci saranno episodi gravi ma sempre possibili, io penso che la situazione tornerà sotto controllo in alcuni giorni. Netanyahu ha detto che Hamas dovrà pagare un prezzo molto alto. Ma non credo che nessuno in Israele sia pronto a lanciare un attacco di terra, con carri armati e soldati che entrano nella Striscia. Tra l’altro in tutto questo c’è la partita di politica interna che sta giocando Netanyahu”.
Infatti, una variabile molto delicata potrebbe essere quella dell’interesse di Netanyahu a continuare una guerra oltre il necessario…
“Lui potrebbe beneficiare di un periodo ancora prolungato di scontri, potrebbe chiedere un governo di unità nazionale, per scompigliare i piani dei partiti che con molta fatica stavano provando a formare un governo senza di lui”.
In tutto questo voi palestinesi moderati, assieme alla Autorità palestinese del presidente Abu Mazen, sembrate sempre più in difficoltà, quasi irrilevanti sulla scena politica del vostro popolo.
“E’ molto difficile essere un palestinese moderato in questi periodi di esplosione della violenza. Ma dopo anni di compressione di tutti i nostri diritti, noi oggi abbiamo capito una cosa: noi non abbiamo più un partner in Israele per costruire il famoso accordo politico 'due popoli, due Stati'. Erano gli israeliani a dirci 'non abbiamo un partner per la pace'. Con tutti i nostri difetti e problemi, il partner palestinese c’era. Adesso invece è la parte palestinese a non avere una controparte. Israele ha deciso di fare tutto da sola, ha stretto accordi con paesi arabi che non mostrano più nessun vero interesse a far cessare l’occupazione militare. La soluzione dei due Stati ormai non è più nella testa di Netanyahu e di molti altri”.
Lei dice che Netanyahu ormai è irrecuperabile al dialogo con l’Anp, con i palestinesi moderati?
“Io paradossalmente le dico che nello spettro politico israeliano Netanyahu rimane il più cinico di tutti, ma è quasi un uomo politico di centro, non più di destra. La politica israeliana si è spostata drammaticamente verso destra, anzi verso l’ultradestra. Senza i partiti religiosi, senza gli ultraortodossi è difficile, quasi impossibile formare un governo. Senza il voto dei coloni della Cisgiordania, senza il sostegno dei movimenti radicali dei coloni che vogliono entrare a Gerusalemme Est lo stesso Netanyahu non riesce a formare un governo. Questo è un dramma per noi: ripeto, siamo noi palestinesi moderati a non avere più un partner per la pace in Israele”.
In queste condizioni quale sarebbe una proposta accettabile per una soluzione politica?
“Al momento non ne vedo. Girano da mesi idee di uno 'Stato minus' palestinese, una sorta di autonomia ancora più limitata di tutte le riduzioni che negli anni erano state previste per avere un giorno un nostro piccolo Stato. Abu Mazen è in un angolo, i palestinesi della strada gli chiedono 'dove ci porti se Israele non ci dà nulla?'. Per questo per tanti Hamas sembra la risposta giusta, anche se tutti sappiamo che l'azione militare di Hamas provocherà più repressione e compatterà buon parte del mondo attorno a Netanyahu”.
Ultima domanda: a parte lo scontro con Hamas, crede che a Gerusalemme, in Cisgiordania sia possibile assistere a una nuova Intifada, a una rivolta popolare prolungata?
“È difficile dirlo, il livello di frustrazione è altissimo. Non posso dire per quanto l’occupazione militare continuerà ad avere il controllo di un altro popolo, ma non potrà continuare così all’infinito”.
Amo i solitari, i diversi, quelli che non incontri mai. Quelli persi, andati, spiritati, fottuti. Quelli con l'anima in fiamme.
(Charles Bukowski)
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