Questa è bella
Può Giorgia Meloni diventare la prossima leader della destra italiana?
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Re: Può Giorgia Meloni diventare la prossima leader della destra italiana?
"Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre" - Albert Einstein
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Re: Può Giorgia Meloni diventare la prossima leader della destra italiana?
Bocchino: "La Meloni sarà la nuova Merkel".
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Re: Può Giorgia Meloni diventare la prossima leader della destra italiana?
Ma hai letto bene?
Secondo me diceva “nuova merda”
Secondo me diceva “nuova merda”
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Re: Può Giorgia Meloni diventare la prossima leader della destra italiana?
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Re: Può Giorgia Meloni diventare la prossima leader della destra italiana?
Può e l'ha fatto: ecco il perché, ben spiegato, per quelli che ancora non l'hanno capito e si accapigliano su chi era nazista, chi Tedesco, chi Italiano, chi Ebreo e chi anti-fascista.
Aspetti importanti, ma meno attuali del presente, senza contare che non basta essere anti-fascista, per non comportarsi a propria volta come i fascisti.
Ma stiamo divagando.
Ecco il pezzo, oggettivo, lucido, meritevole di lettura da tutti.
"La miopia dell’élite progressista
GIOVANNI ORSINA
Di recente, dal governo Meloni o dalla maggioranza che lo sostiene sono arrivati vari segnali di scarsa simpatia per l’innovazione sociale, culturale e tecnologica, su terreni anche molto diversi l’uno dall’altro: dalla maternità surrogata all’uso di parole non italiane, dai flussi migratori alla carne sintetica. Talvolta fra questi segnali di scarsa simpatia viene annoverato anche il blocco a ChatGpt, malgrado in questo caso l’iniziativa non sia stata politica ma del Garante per la privacy. Alla postura misoneista del governo molti commentatori genericamente ascrivibili alla cultura progressista hanno reagito con una certa sufficienza, quando non con aperto sarcasmo: «Poveri illusi – questa più o meno la loro tesi –, state cercando di fermare un treno in corsa con le mani. Il cambiamento non solo è positivo, ma è inarrestabile».
La sufficienza e il sarcasmo di questi commentatori sono in una certa misura fondati: frenare il treno della trasformazione culturale, tecnologica e sociale è, in effetti, difficilissimo. Ma forniscono pure l’ennesima riprova dell’imbarazzante miopia intellettuale e morale di certa intellighenzia progressista, della sua strutturale, irrimediabile incapacità di entrare in comunicazione col diverso, di osservare il mondo dal punto di vista di chi la pensa altrimenti. Della sua intolleranza costitutiva, insomma. Miopia, incapacità e intolleranza tanto più gravi perché è da anni ormai che i limiti di questo progressismo sono apparsi in piena luce ed è esplosa una ribellione globale contro di esso, e da una cultura ch’è largamente maggioritaria fra gli intellettuali sarebbe lecito aspettarsi per lo meno una maggiore velocità di reazione di fronte alle smentite della storia.
Come suggerisce l’aggettivo, il pensiero progressista dell’ultimo mezzo secolo si nutre della fede nel progresso: è convinto che il cambiamento storico sia intrinsecamente positivo e che qualsiasi effetto negativo esso possa avere sarà corretto non frenandone, ma al contrario accelerandone il passo. Quando parlo del progressismo contemporaneo, sia chiaro, non sto guardando solamente a sinistra. Non tutti a sinistra hanno condiviso la fiducia negli automatismi del progresso. Che invece ha trovato parecchio spazio pure nel centro destra – anche perché la convinzione che il mercato sia in grado di autoregolarsi e di produrre effetti, appunto, progressivi ha rappresentato una componente fondamentale di quella fiducia. Sto facendo quindi riferimento a una cultura progressista egemonica e trasversale, anche se, certo, caratterizzata da una matrice radicalmente anti-conservatrice che la sbilancia a sinistra ben più che a destra.
La fase egemonica di questa cultura ha preso avvio alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso e ha raggiunto il suo zenit dopo la caduta del Muro, negli anni Novanta. Quell’egemonia ha poi subito un primo duro colpo con l’11 settembre e un secondo ancora più duro con la Grande Recessione cominciata nel 2007. Quel che nell’ultimo decennio abbiamo molto genericamente chiamato populismo ha rappresentato anche un grido di dolore contro gli effetti negativi, patiti o temuti, del mutamento sociale, culturale e tecnologico: il segno che la fiducia nella capacità del progresso di correggere se stesso era venuta meno in ampie fasce della popolazione, le quali chiedevano a gran voce che la politica riprendesse infine il controllo consapevole dei processi storici e per lo meno ne rallentasse il passo. È anche da questa richiesta di governo del cambiamento che sono scaturite le nuove destre che nell’ultimo decennio si sono andate affermando nelle democrazie avanzate. Fra cui quelle italiane: la Lega e Fratelli d’Italia.
Rallentare il treno della storia, come detto, è difficilissimo, ed è certo più che lecito dubitare che l’approccio della maggioranza di governo - divieto di qui, divieto di là - sia saggio e utile. Così facendo, tuttavia, questa maggioranza riconosce un bisogno sociale reale: prende sul serio la richiesta di governo dei processi di cambiamento che sale da un’ampia parte dell’opinione pubblica, e in particolare dal suo elettorato, e, vietando di qua e di là, tenta almeno, seppur malamente e a tentoni, di darle una risposta. Quanti reagiscono con sufficienza o sarcasmo a questi tentativi, invece, quella richiesta nemmeno la vedono, non saprebbero risponderle, e pretendono di esorcizzarla officiando il rito stracco di una fede progressista che non scalda più da un pezzo i cuori delle folle. Chi s’illude di più?
Da La Stampa"
https://www.lastampa.it/editoriali/lett ... -PM6-S6-T1
Aspetti importanti, ma meno attuali del presente, senza contare che non basta essere anti-fascista, per non comportarsi a propria volta come i fascisti.
Ma stiamo divagando.
Ecco il pezzo, oggettivo, lucido, meritevole di lettura da tutti.
"La miopia dell’élite progressista
GIOVANNI ORSINA
Di recente, dal governo Meloni o dalla maggioranza che lo sostiene sono arrivati vari segnali di scarsa simpatia per l’innovazione sociale, culturale e tecnologica, su terreni anche molto diversi l’uno dall’altro: dalla maternità surrogata all’uso di parole non italiane, dai flussi migratori alla carne sintetica. Talvolta fra questi segnali di scarsa simpatia viene annoverato anche il blocco a ChatGpt, malgrado in questo caso l’iniziativa non sia stata politica ma del Garante per la privacy. Alla postura misoneista del governo molti commentatori genericamente ascrivibili alla cultura progressista hanno reagito con una certa sufficienza, quando non con aperto sarcasmo: «Poveri illusi – questa più o meno la loro tesi –, state cercando di fermare un treno in corsa con le mani. Il cambiamento non solo è positivo, ma è inarrestabile».
La sufficienza e il sarcasmo di questi commentatori sono in una certa misura fondati: frenare il treno della trasformazione culturale, tecnologica e sociale è, in effetti, difficilissimo. Ma forniscono pure l’ennesima riprova dell’imbarazzante miopia intellettuale e morale di certa intellighenzia progressista, della sua strutturale, irrimediabile incapacità di entrare in comunicazione col diverso, di osservare il mondo dal punto di vista di chi la pensa altrimenti. Della sua intolleranza costitutiva, insomma. Miopia, incapacità e intolleranza tanto più gravi perché è da anni ormai che i limiti di questo progressismo sono apparsi in piena luce ed è esplosa una ribellione globale contro di esso, e da una cultura ch’è largamente maggioritaria fra gli intellettuali sarebbe lecito aspettarsi per lo meno una maggiore velocità di reazione di fronte alle smentite della storia.
Come suggerisce l’aggettivo, il pensiero progressista dell’ultimo mezzo secolo si nutre della fede nel progresso: è convinto che il cambiamento storico sia intrinsecamente positivo e che qualsiasi effetto negativo esso possa avere sarà corretto non frenandone, ma al contrario accelerandone il passo. Quando parlo del progressismo contemporaneo, sia chiaro, non sto guardando solamente a sinistra. Non tutti a sinistra hanno condiviso la fiducia negli automatismi del progresso. Che invece ha trovato parecchio spazio pure nel centro destra – anche perché la convinzione che il mercato sia in grado di autoregolarsi e di produrre effetti, appunto, progressivi ha rappresentato una componente fondamentale di quella fiducia. Sto facendo quindi riferimento a una cultura progressista egemonica e trasversale, anche se, certo, caratterizzata da una matrice radicalmente anti-conservatrice che la sbilancia a sinistra ben più che a destra.
La fase egemonica di questa cultura ha preso avvio alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso e ha raggiunto il suo zenit dopo la caduta del Muro, negli anni Novanta. Quell’egemonia ha poi subito un primo duro colpo con l’11 settembre e un secondo ancora più duro con la Grande Recessione cominciata nel 2007. Quel che nell’ultimo decennio abbiamo molto genericamente chiamato populismo ha rappresentato anche un grido di dolore contro gli effetti negativi, patiti o temuti, del mutamento sociale, culturale e tecnologico: il segno che la fiducia nella capacità del progresso di correggere se stesso era venuta meno in ampie fasce della popolazione, le quali chiedevano a gran voce che la politica riprendesse infine il controllo consapevole dei processi storici e per lo meno ne rallentasse il passo. È anche da questa richiesta di governo del cambiamento che sono scaturite le nuove destre che nell’ultimo decennio si sono andate affermando nelle democrazie avanzate. Fra cui quelle italiane: la Lega e Fratelli d’Italia.
Rallentare il treno della storia, come detto, è difficilissimo, ed è certo più che lecito dubitare che l’approccio della maggioranza di governo - divieto di qui, divieto di là - sia saggio e utile. Così facendo, tuttavia, questa maggioranza riconosce un bisogno sociale reale: prende sul serio la richiesta di governo dei processi di cambiamento che sale da un’ampia parte dell’opinione pubblica, e in particolare dal suo elettorato, e, vietando di qua e di là, tenta almeno, seppur malamente e a tentoni, di darle una risposta. Quanti reagiscono con sufficienza o sarcasmo a questi tentativi, invece, quella richiesta nemmeno la vedono, non saprebbero risponderle, e pretendono di esorcizzarla officiando il rito stracco di una fede progressista che non scalda più da un pezzo i cuori delle folle. Chi s’illude di più?
Da La Stampa"
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Re: Può Giorgia Meloni diventare la prossima leader della destra italiana?
L'unico progressista, secondo questa definizione, è Renzi, non tutta la sinistra.finestraweb ha scritto: ↑7 apr 2023, 9:05 Può e l'ha fatto: ecco il perché, ben spiegato, per quelli che ancora non l'hanno capito e si accapigliano su chi era nazista, chi Tedesco, chi Italiano, chi Ebreo e chi anti-fascista.
Aspetti importanti, ma meno attuali del presente, senza contare che non basta essere anti-fascista, per non comportarsi a propria volta come i fascisti.
Ma stiamo divagando.
Ecco il pezzo, oggettivo, lucido, meritevole di lettura da tutti.
"La miopia dell’élite progressista
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Di recente, dal governo Meloni o dalla maggioranza che lo sostiene sono arrivati vari segnali di scarsa simpatia per l’innovazione sociale, culturale e tecnologica, su terreni anche molto diversi l’uno dall’altro: dalla maternità surrogata all’uso di parole non italiane, dai flussi migratori alla carne sintetica. Talvolta fra questi segnali di scarsa simpatia viene annoverato anche il blocco a ChatGpt, malgrado in questo caso l’iniziativa non sia stata politica ma del Garante per la privacy. Alla postura misoneista del governo molti commentatori genericamente ascrivibili alla cultura progressista hanno reagito con una certa sufficienza, quando non con aperto sarcasmo: «Poveri illusi – questa più o meno la loro tesi –, state cercando di fermare un treno in corsa con le mani. Il cambiamento non solo è positivo, ma è inarrestabile».
La sufficienza e il sarcasmo di questi commentatori sono in una certa misura fondati: frenare il treno della trasformazione culturale, tecnologica e sociale è, in effetti, difficilissimo. Ma forniscono pure l’ennesima riprova dell’imbarazzante miopia intellettuale e morale di certa intellighenzia progressista, della sua strutturale, irrimediabile incapacità di entrare in comunicazione col diverso, di osservare il mondo dal punto di vista di chi la pensa altrimenti. Della sua intolleranza costitutiva, insomma. Miopia, incapacità e intolleranza tanto più gravi perché è da anni ormai che i limiti di questo progressismo sono apparsi in piena luce ed è esplosa una ribellione globale contro di esso, e da una cultura ch’è largamente maggioritaria fra gli intellettuali sarebbe lecito aspettarsi per lo meno una maggiore velocità di reazione di fronte alle smentite della storia.
Come suggerisce l’aggettivo, il pensiero progressista dell’ultimo mezzo secolo si nutre della fede nel progresso: è convinto che il cambiamento storico sia intrinsecamente positivo e che qualsiasi effetto negativo esso possa avere sarà corretto non frenandone, ma al contrario accelerandone il passo. Quando parlo del progressismo contemporaneo, sia chiaro, non sto guardando solamente a sinistra. Non tutti a sinistra hanno condiviso la fiducia negli automatismi del progresso. Che invece ha trovato parecchio spazio pure nel centro destra – anche perché la convinzione che il mercato sia in grado di autoregolarsi e di produrre effetti, appunto, progressivi ha rappresentato una componente fondamentale di quella fiducia. Sto facendo quindi riferimento a una cultura progressista egemonica e trasversale, anche se, certo, caratterizzata da una matrice radicalmente anti-conservatrice che la sbilancia a sinistra ben più che a destra.
La fase egemonica di questa cultura ha preso avvio alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso e ha raggiunto il suo zenit dopo la caduta del Muro, negli anni Novanta. Quell’egemonia ha poi subito un primo duro colpo con l’11 settembre e un secondo ancora più duro con la Grande Recessione cominciata nel 2007. Quel che nell’ultimo decennio abbiamo molto genericamente chiamato populismo ha rappresentato anche un grido di dolore contro gli effetti negativi, patiti o temuti, del mutamento sociale, culturale e tecnologico: il segno che la fiducia nella capacità del progresso di correggere se stesso era venuta meno in ampie fasce della popolazione, le quali chiedevano a gran voce che la politica riprendesse infine il controllo consapevole dei processi storici e per lo meno ne rallentasse il passo. È anche da questa richiesta di governo del cambiamento che sono scaturite le nuove destre che nell’ultimo decennio si sono andate affermando nelle democrazie avanzate. Fra cui quelle italiane: la Lega e Fratelli d’Italia.
Rallentare il treno della storia, come detto, è difficilissimo, ed è certo più che lecito dubitare che l’approccio della maggioranza di governo - divieto di qui, divieto di là - sia saggio e utile. Così facendo, tuttavia, questa maggioranza riconosce un bisogno sociale reale: prende sul serio la richiesta di governo dei processi di cambiamento che sale da un’ampia parte dell’opinione pubblica, e in particolare dal suo elettorato, e, vietando di qua e di là, tenta almeno, seppur malamente e a tentoni, di darle una risposta. Quanti reagiscono con sufficienza o sarcasmo a questi tentativi, invece, quella richiesta nemmeno la vedono, non saprebbero risponderle, e pretendono di esorcizzarla officiando il rito stracco di una fede progressista che non scalda più da un pezzo i cuori delle folle. Chi s’illude di più?
Da La Stampa"
https://www.lastampa.it/editoriali/lett ... -PM6-S6-T1
Quanto a certi divieti, alcuni sono "armi di distrazione di massa", altri sono stati chiesti da elettori di peso come Coldiretti.
La risposta ai disagi crescenti e alla miseria dilagante? N. P.
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Re: Può Giorgia Meloni diventare la prossima leader della destra italiana?
Personalmente metterei a pieno titolo anche Letta, che d'altronde fece l'alleanza elettorale con Calenda.
Gli altri della sinistra, non pervenuti.
L'M5S, nelle ultime elezioni si è posto più a sinistra "di quelli della sinistra ufficiale".
Che questo governo non abbia risposto alle problematiche emerse, è anche vero, ma almeno in campagna elettorale le ha segnalate: la differenza è questa, tra chi dice " andrà tutto bene " e chi dice " bisogna cambiare perché non sta andando bene".
Gli altri della sinistra, non pervenuti.
L'M5S, nelle ultime elezioni si è posto più a sinistra "di quelli della sinistra ufficiale".
Che questo governo non abbia risposto alle problematiche emerse, è anche vero, ma almeno in campagna elettorale le ha segnalate: la differenza è questa, tra chi dice " andrà tutto bene " e chi dice " bisogna cambiare perché non sta andando bene".
"Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre" - Albert Einstein
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- Iscritto il: 12 mar 2018, 23:04
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Re: Può Giorgia Meloni diventare la prossima leader della destra italiana?
Si potrebbe proporre un sistema tipo "signoria"; due mesi di carica, o risolvi o ciao!
Walter
...adeguarsi, reagire e combattere....
...adeguarsi, reagire e combattere....
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Re: Può Giorgia Meloni diventare la prossima leader della destra italiana?
1: https://www.huffingtonpost.it/politica/ ... r-11801465
Se Meloni "rifiuterà parte degli aiuti agli investimenti, rinuncerà alla crescita, ai posti di lavoro, all'aumento del gettito fiscale e quindi alla riduzione del debito pubblico", il risultato sarebbero "reazioni negative dei mercati finanziari e l'aumento dei tassi di interesse sui 2.700 miliardi di euro di debito", scrive il giornalista, che chiude sottolineando: "C'è una sola speranza: Meloni non può essere così stupida".
Stupida no, incapace sì.
2: https://www.repubblica.it/politica/2023 ... 395784566/
Con il Def risorse azzerate per pensioni e flat tax. Ora tagli o altri debiti. L’Europa in allerta
Vedi sopra.
Se Meloni "rifiuterà parte degli aiuti agli investimenti, rinuncerà alla crescita, ai posti di lavoro, all'aumento del gettito fiscale e quindi alla riduzione del debito pubblico", il risultato sarebbero "reazioni negative dei mercati finanziari e l'aumento dei tassi di interesse sui 2.700 miliardi di euro di debito", scrive il giornalista, che chiude sottolineando: "C'è una sola speranza: Meloni non può essere così stupida".
Stupida no, incapace sì.
2: https://www.repubblica.it/politica/2023 ... 395784566/
Con il Def risorse azzerate per pensioni e flat tax. Ora tagli o altri debiti. L’Europa in allerta
Vedi sopra.
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Re: Può Giorgia Meloni diventare la prossima leader della destra italiana?
Due mesi magari son pochi per affondare un paese e lasciarlo dilaniare dagli amici degli amici.
In cinque anni invece possiamo arrivare al livello della Somalia
In cinque anni invece possiamo arrivare al livello della Somalia
Quaestio subtilissima, utrum Chimera in vacuo bombinans possit comedere secundus intentiones, et fuit debatuta per decem hebdomadas in concilio Constantiensi