Novelle by Cave [n.3 "Die Überdame"]

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Novelle by Cave [n.3 "Die Überdame"]

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Die Überdame

Era l’inizio di una fredda giornata, come lo erano state tante altre quell’inverno. Le luci dei lampioni erano ancora accese, la notte continuava ad avvolgere la città mentre bus e automobili cominciavano a popolare le strade. Rosita si stringeva nel suo cappottone infeltrito, batteva i denti, aspettando il treno al binario cinque, come ogni mattina. La stazione ferroviaria era sempre semideserta a quell’ora – si capisce – troppo presto per gli scolari e i normali lavoratori. Rosita fissava la linea gialla. “Chissà – si chiedeva – se qualcun’altra continuerebbe la mia ricerca, nel caso in cui mi gettassi di sotto; magari avrebbe più fortuna di me. Anzi, sicuramente l’avrebbe.” Il senso di sconforto la spinse a vacillare più del solito, per un attimo pensò che sarebbe stato meglio sparire per sempre. Scosse la testa. “Ma chi mai potrebbe occuparsene se nessuno la conosce?” I fanali del treno in arrivo allontanarono momentaneamente quei pensieri, lasciandole però un gran peso sul petto. Sospirò forte, una, due volte e cercò una carrozza libera in cui sedersi.

“Posso chiederle un consiglio?”
Rosita staccò gli occhi dal giornale e alzando la testa si trovò di fronte un giovane ragazzo sui trent’anni che indossava una divisa da ferroviere. Sbigottita e impreparata al dialogo con lo sconosciuto, arrossì farfugliando qualcosa che lei stessa non riuscì a capire. Mosse leggermente la testa per annuire.
“Lei chiederebbe il nome ad uno sconosciuto? Le sembrerebbe inopportuno?”
“Ma no, certo che no! Altrimenti come farebbero le persone a conoscersi?”
“Mi sto riferendo a lei.”
“A me?”
Rosita era molto sorpresa, quasi sconvolta: “Come – pensava – alla mia età riesco ancora a dare nell’occhio?” Quasi rise, poi le balzò in mente l’idea che quel giovanotto la stesse prendendo in giro. “Cos’è, uno scherzo questo? Vuole prendersi gioco di me?” Lui le rispose con un sorriso dolce; aveva capito la situazione e subito la tranquillizzò. Non stava scherzando, non si sarebbe mai permesso di disturbare una signora per il gusto di deriderla! Ci mancherebbe! Cosa gliel’aveva fatto pensare? La signora Rosita, poverina, abituata alla solitudine, in un mondo che vive nel web, proiettato oltre gli schermi, aliena di fronte al virtuale e, di conseguenza, nel reale quotidiano, come poteva credere nelle persone? Quei bipedi che creano avatar di se stessi, che hanno vite perfette con tanto di cornici e filtri effetto antirughe. Tutti sempre così à la page! Tutti sempre rivolti a se stessi. João il ferroviere sembrò crogiolarsi nello sfogo di Rosita, sembrava proprio che non aspettasse altro o che avesse toccato un tasto che lo eccitava tanto da farlo alzare di dieci centimetri dal suolo. Se fosse stato un tacchino si sarebbe sollevato dritto, avrebbe gonfiato il collo e fatto la ruota. Ma invece era solo un uomo e si limitò a dire con voce altisonante: “Signora Rosita! Lei ha centrato il punto! Ma questo è il bello dell’epoca in cui viviamo! Chissà se avrà mai una svolta, un cambio di direzione, questo maledetto processo figlio degli anni Cinquanta. Dannati siano gli anni Cinquanta! Lei ha ragione, ma non possiamo farci niente. Il Superego è morto. Il narcisismo è esploso in maniera irreversibile!”

João Schwarz do Miguel era un artista. Aveva insistito così tanto affinché lei partecipasse alla sua esposizione quella sera, che Rosita non aveva avuto il coraggio di rifiutare, ma soprattutto era lusingata dalle attenzioni che le aveva rivolto. Ripensava al suo sguardo tagliente, scuro e provocante: la metteva in soggezione e insieme la attraeva come una calamita. Era curiosa, voleva addentrarsi in lui come in una grotta misteriosa, piena di chissà quali segreti e verità inviolate.
Si era dimenticata di cenare – ogni tanto le succedeva di scordarsi cose del genere, con quella sua testa sempre fra le nuvole! Il suo stomaco gorgogliava già da qualche minuto quando una ragazza col papillon d’argento le si avvicinò con le braccia tese “Prego. Consegni a me il suo cappotto, signora.” Si spogliò con fare impacciato, non si sentiva a suo agio. Le luci dell’ingresso rimbalzavano sui muri bianchi creando un’atmosfera da regno dei cieli e Rosita pensò di essere entrata dentro una nuvola. Non era mai stata ad una mostra di artisti emergenti, la sua cultura si limitava a qualche visita nei musei o ad esposizioni temporanee di grandi classici della pittura. Quel mondo di squilibrati geni creativi lo aveva sempre considerato tanto distante dal suo mondo di leggi, codici, sequenze, strutture, tabelle e calcoli, prigioniera di uno schema, obbligata a proseguire su rotaie a senso unico. Scrutava l’orizzonte creativo come un cane che fissa un osso e sbava per la brama d’averlo fra i denti. La fascinazione che l’aveva spinta lì non riusciva comunque ad estinguere il senso di inadeguatezza. Dopo qualche attimo d’incertezza e per l’incoraggiamento della ragazza col papillon, si spostò nella sala principale. Il soffitto bianco brillava come nell’altra stanza e si scontrava con il rosso porpora delle pareti, vive come ferite aperte. I quadri, senza cornice, erano appesi in sequenza secondo l’ordine cronologico di realizzazione. Rosita sbirciò qualche titolo. L’apoteosi di Thor. Giulio Cesare dictator di Roma. La caccia dei Neanderthaliani. L’ira di Poseidone. Svjatoslav Igorovič conquistatore. Un brivido le scese giù per la schiena. Avvertì un vago senso di pericolo, avevano qualcosa di sinistro.
“Le piace il grande principe kieviano?”
“Ha uno sguardo glaciale, quasi diabolico.”
“Era un guerriero valoroso, ha combattuto molte battaglie.”
“E chi si occupava del regno mentre lui affrontava i nemici?”
“Non è importante. Se non fosse stato così coraggioso non avrebbe reso Kiev tanto potente!”
“Ho notato che non ci sono figure femminili nei suoi dipinti.”
“Esatto.”
“Per quale motivo?”
“Mi ispirano soggetti carichi di forza virile, che sprigionano un’energia vigorosa capace di uscire fuori dalla tela e colpire in pieno l’osservatore!”
“Le donne non possono essere vigorose?”
“Credo proprio di no.”
“Se adesso le tirassi un pugno sul naso si ricrederebbe?”
“Perché la prende sul personale?”
“Come sarebbe? Ho capito perfettamente la sua allusione! Ritiene che le donne siano deboli! Non dovrei sentirmi offesa? Non sono forse anche io una donna?”
“Ma sì! Cioè no, non si senta offesa. Dio mio, signora Rosita! Lei…”
“Io cosa?”

Rosita batteva nervosamente il piede contro il pavimento del ristorante italiano nel centro della città. Rifletteva sullo strano individuo di fronte a lei e sul destino che aveva intrecciato le loro vite. Era ancora arrabbiata per la discussione di poco prima, però una cena gliela aveva concessa volentieri. Ma sì, che male c’era?
“Come si può essere così maschilisti al giorno d’oggi? Con tanti esempi di potere al femminile! Alte cariche statali! E non solo! Anche in ambito sportivo.”
“Capisco il suo punto di vista, signora mia. Ma il denaro, la politica, anche la forza fisica potenziata da sedute di allenamento con personal trainer, non rende le donne pari all’uomo. Sono stratagemmi per sembrare simili a uomini! Se però togliamo loro tutto quanto, cosa resta?”
“La mente! Le pare poco?”
“Oh no, è molto invece. Ma mi permetta un’osservazione, la loro mente è insidiata dal cuore. Ha un deficit che non riguarda l’altro sesso. E come se non bastasse è colpita come un tamburo da una moltitudine di pop-up che si aprono all’improvviso distogliendo l’attenzione da qualsiasi occupazione. E si perdono così nei loro pensieri, in mille preoccupazioni. La mente dell’uomo invece è un monolito: freddo, conciso, integerrimo.”
“Quindi secondo lei i maschi non provano sentimenti?”
“Ma no, signora! Stia attenta a ciò che dico. Certo che siamo capaci di provare sentimenti. Il punto è che sappiamo tenere ben lontane le manacce lerce del cuore dalla purezza cerebrale!”
“Lo sa vero che senza Olga il suo caro Svjatoslav non sarebbe riuscito a cavare un ragno dal buco?”
“Mi risulta che a sguainare la spada fosse lui, non la madre baciapile.”
“Cosa mi tocca sentire! L’eroina della Povest una baciapile. Come prima quando mi ha risposto che non è importante sapere chi si occupasse del regno in assenza del principe…eccome se lo è!”
“Lo dice soltanto perché sa che ad occuparsene era una donna e questo fa buon pro alla sua tesi.”
“Vogliamo parlare delle sue vendette contro i drevljani? Questo non le dimostra la sua virilità?”
“Nient’affatto. A muovere il suo spirito era il ricordo del marito ammazzato dai nemici, non una propria forza interiore.”
“Ma di che stiamo parlando? Lei è una persona impossibile.”
Ci fu silenzio e pochi attimi dopo arrivò il cameriere con l’ordinazione. João addentò un triangolo di pizza. Mentre masticava, un filo di mozzarella gli penzolava da un angolo della bocca. Rosita, notando il formaggio che oscillava come un pendolo, pensò che dopotutto era soltanto un uomo, un umano come tutti gli altri che hanno bisogno di sentirsi superiori, è il loro appiglio per non sprofondare nel vortice dell’inconsistenza della vita. Un appiglio che però non le andava a genio e da tempo cercava di abbattere. Non riusciva a reprimere la rabbia suscitata dalle parole sessiste del pittore. Aveva voglia di rivalsa, voleva zittirlo una volta per tutte. Forse se ne sarebbe pentita, ma in quel momento l’indignazione scatenò un’ira tale che le annebbiò la ragione.
“Mi permette di renderla partecipe di una teoria?”
“Di che si tratta?”
“L’essere femminile, con le sue peculiarità fisiche e mentali, è nientepopodimeno che un’evoluzione dell’essere maschile!”
João rise.
“Cos’ha da ridere?”
“Dio santo, Rosita mia! Lei ha voglia di scherzare.”
“Per niente. È una cosa della massima serietà. Ci sto lavorando da molti mesi o forse sono anni, ormai ho perso la cognizione del tempo. Si fermi un attimo a riflettere e lasci perdere tutte le idiozie metafisiche sulla forza interiore. La capacità multitasking del cervello femminile è chiaramente un passo avanti rispetto al senso unico dell’altro sesso. Ma mettiamo pure da parte questo aspetto meno concreto e passiamo al fattore organico. Sa che la donna ha un organo che l’uomo non ha? E la chiave della mia ricerca sta tutta lì. La clitoride, caro signore. Un piccolo lembo di pelle apparentemente inutile, ma con un’enorme potere. Altro che forza interiore, bello mio! Qui si parla di orgasmi. Sani, energici, perturbanti orgasmi.”
“La smetta immediatamente! Ma lei chi è, signora Rosita? Cos’è questo blaterare illogico?”
“È una teoria, signor João, e come tale va dimostrata. Che rimanga fra noi però, è una confidenza che le faccio. I miei studi sono segreti, come capirà è un argomento delicato e pericoloso. Le basti sapere che mi occupo di scienza.”
“E per quale motivo mi sta rivelando il suo segreto?”
“Faccio male a fidarmi?”
“Oh no, fa benissimo.”

Era passato un anno dal loro primo appuntamento e Rosita sentiva la necessità di colmare il vuoto nel suo appartamento, reso lugubre dal troppo silenzio. Iniziava a percepire il peso delle stagioni, gli inverni sempre più freddi, perché non c’era nessuno che a sera l’aiutasse a scaldare il letto. Gli anni sulle sue spalle si stavano facendo grevi, la spingevano verso il basso e le tormentavano il nervo sciatico. Osservava il suo amante, il tepore delle candele, e pensando alla malinconia che l’avrebbe raggiunta non appena entrata sotto le coperte e che poi l’avrebbe accompagnata nell’insonnia fino al mattino, si sentì oppressa al cuore e gli mancò il respiro.
“Che ti succede, Rositinha mia?”
“Eh, il tempo che passa, giovanotto! Un giorno lo capirai.”
“Posso fare qualcosa?”
“Non ho mai voluto metterti in catene, lo sai. Rispetto il tuo spirito nomade, la nostra relazione fatta di attimi e amore dove capita, cene al ristorante, film al cinema e passeggiate lungo il corso del Rio dos loucos. Ti chiedo solo di pensarci. La solitudine inizia a spaventarmi, il numero delle tregue felici è irrisorio rispetto all’angoscia che scorre in un flusso continuo… Non ce la faccio, non ce la posso fare…”
“Stai tranquilla. Non sei una catena che mi impedisce i movimenti, sei un alito di vita che mi riempie i polmoni, sei come linfa.”
Le brillarono gli occhi, non poteva crederci.
“Ho capito bene quello che stai dicendo?”
“Sì, sono pronto.”
“Sei davvero sicuro? Ti trasferirai a casa mia? Non voglio che tu finisca per odiarmi per averti rinchiuso fra quattro mura.”
“Non succederà mai! Non potrei mai odiarti, Rosita mia. Vivremo insieme!”
Rosita non riuscì a contenere la gioia e gli si gettò al collo. Mentre piangeva sorridendo fra le sue braccia, il volto le si contorse in una smorfia di orgogliosa soddisfazione, che lui non notò. “Ho sottomesso la ‘virilità’ della tua ‘forza interiore’ – pensava – alla faccia tua, Übermensch dei miei stivali!”

“Eureka!” L’esclamazione risuonò per tutto lo scantinato e nelle orecchie di Rosita. Ascoltò la propria eco e gridò di nuovo. “Eureka! Eureka! Eureka!” Aspettava quel momento da anni e adesso che aveva davanti agli occhi la verità, stentava lei stessa a crederci. Quella scoperta avvalorava la sua teoria e la rendeva inattaccabile. “È la prova che cambierà il modo di vedere la realtà! Cambierà il mondo! Io cambierò il mondo!” In preda all’euforia non riusciva a mettere in ordine i pensieri. Cosa fare? Come agire? Adesso, con quella prova valida, con quel dato di certezza assoluta, poteva avvertire il responsabile di dipartimento, i colleghi, il rettore dell’università, le riviste scientifiche. Chi chiamare per primo? Renderlo pubblico ad una riunione straordinaria? Prendere le distanze dall’ateneo e rivolgersi ai giornali? A chi chiedere protezione? Non aveva ancora preso una decisione quando sentì sbattere la porta dell’ingresso, al piano di sopra. João era appena rincasato.
Salì in fretta la rampa di scale tremando per l’eccitazione. Aveva il fiatone. “João!” Iniziò a gridare ansimando. “João! João! Amore mio! João! Vieni qui, presto!”
Si era seduta sul parquet, tenendosi la testa fra le mani. João nel trovarla così si spaventò. La aiutò ad alzarsi, ma lei svenne prima di riuscire a dire qualcosa. La distese sul letto e iniziò a baciarla con forza su tutto il volto e a darle piccoli schiaffetti sulle guance. Di colpo aprì gli occhi.
“Rosita! Rosita mia! Ma che ti è successo? Vado a prenderti un bicchiere d’acqua!”
“Lascia perdere l’acqua! Ascoltami! Dio santissimo! Che scoperta! Che scoperta! Ancora non ci credo!”
“Di che parli? Quale scoperta? Hai bisogno di calmarti. Ti prenderà un colpo!”
“Se non mi è preso poco fa, posso giurare sul bel testone del Santo Carlos che non mi prenderà mai più! Ah gli mancava un anello! Se lo è perso per strada! Ma io l’ho ritrovato! Oh sì, che lo ho ritrovato! Signore e signori, ecco qua l’anello! Sono io, siamo noi tutte!”
“Stai delirando! Chiamo un’ambulanza!”
“Lascia perdere i dottori! C’è da riscrivere la storia intera dell’umanità! Ah ah ah! Mi viene da ridere! Tutti quei manuali da scrivere da capo. Ah ah ah! Bruciate tutto! È tutto da rifare!”
“Cristo santo, Rosita! Qui c’è da chiamare lo psichiatra, altro che!”
“Stupido! Non capisci. La mia teoria è vera! La donna supera l’uomo! È l’ultimo anello della catena evolutiva!”
“Zitta! Zitta! Finiscila!”
“È la realtà, João! Dovrai accettarlo! Sono superiore a te! Tutte lo siamo!”
“Ti sbagli! Ti sbagli! Sei pazza!”
“No, sono lucidissima, sono illuminata dalla verità! Ho anche un prova tangibile qui di fronte a me, se proprio vuoi saperlo!”
“Di che diavolo di prova stai parlando?”
“Proprio di te, sai? Lo spirito libero ed errabondo, che si porta appresso il romanticismo ottocentesco e i cazzi delle sue tele! Ah ah ah! Guarda dove sei finito con la tua vita bohémienne! A fare la spesa per una donna di mezza età!”


Le dita dei piedi premono con forza contro il lenzuolo impigliato fra le gambe, teso come le corde di un violino. Una gamba si incrocia con l’altra, la caviglia riposa sul polpaccio, formano un quattro. Per scaramanzia scioglieva l’intreccio tutte le volte che lo notava prima che arrivasse Morfeo con le sue grandi ali piumate a cancellare la coscienza e miscelare i ricordi. La linea che segue schiena e fianco forma una V come le valli tinte di verde da abeti e betulle, l’increspatura della pelle diventa un ruscello di montagna che sfocia nel lago dell’ombelico, in ombra per la posizione semi prona. Il volto nascosto dai capelli poggia in parte sulle braccia disordinate. Non si può distinguere la sua espressione, s’intravedono le palpebre chiuse. La luce dell’applique ferisce il corpo nel colore candido che si sta facendo opaco e sfumato. Un bianco che tende al giallo paglierino. Qualche macchia violaceo rossastra sta iniziando a comparire. Livor mortis. Sangue rappreso fra le ciocche di capelli incrostate fra di loro, altro sangue schizzato sulla testata del letto, altro ancora sembrava che continuasse a scorrere e riempisse l’intera camera. Rosso come le pareti della galleria d’arte in città. João sorrise ripensando a quel giorno, mentre con una pennellata arrotondava il seno della sua Rosita.
“Eh Rosita mia, è proprio un peccato che tu non possa vedere questo capolavoro.”