All’epoca dell’economia della conoscenza - il sistema economico in cui la produzione di beni e servizi si basa principalmente su attività ad alta intensità di conoscenza che determinano l’innovazione tecnica e scientifica -, la cosiddetta classe creativa è abituata a considerare se stessa come il primo motore del progresso e dello sviluppo di tutta l’umanità. Un saggio di David Brooks sull’Atlantic (giornale americano molto amato proprio dalla classe creativa) mette in discussione questa immagine di sé, denunciandola come una forma di quella che il filosofo Karl Marx chiamava «ideologia», cioè un insieme di valori, concezioni e teorie funzionali a mantenere il potere delle classi dominanti. Secondo Brooks infatti, la classe creativa, nota anche come borghesia bohémien metropolitana di sinistra (i cosiddetti «bobos»), o «gente X» («X people» secondo la definizione dello storico della letteratura Paul Fussell ), è diventata la nuova classe dominante delle nostre società capitalistiche, e ha fatto completamente saltare la tradizionale struttura di classe con cui eravamo abituati a interpretare il mondo. Rivelandosi non meno repressiva delle classi dominanti che la hanno preceduta.
«La struttura di classe della società occidentale è stata stravolta negli ultimi decenni. Una volta era semplice: c’erano i ricchi, che si riunivano nei country club e votavano repubblicano; la classe operaia, che lavorava nelle fabbriche e votava democratico; e, nel mezzo, la classe media suburbana di massa. Avevamo una chiara idea di come sarebbe stato il conflitto di classe, quando fosse arrivato: i membri delle classi lavoratrici si sarebbero alleati con gli intellettuali progressisti per affrontare l’élite capitalista. Ma in qualche modo quando il conflitto di classe è arrivato, nel 2015 e nel 2016, non aveva questo aspetto. Improvvisamente, i partiti conservatori di tutto l’Occidente — gli ex campioni dell’aristocrazia terriera — si sono presentati come i guerrieri della classe operaia. E i partiti di sinistra, un tempo veicoli della rivolta proletaria, sono stati criticati in quanto monopolizzati dall’élite urbana super istruita. Al giorno d’oggi, il livello d’istruzione e i valori politici sono importanti nel definire il tuo status di classe quanto lo è il tuo reddito. A causa di questo, gli Stati Uniti si sono polarizzati in due gerarchie di classe separate: una rossa (repubblicana, ndr) e una blu (democratica, ndr). Le classi lottano non solo verso l’alto e verso il basso, contro i gruppi più ricchi e più poveri nella loro scala, ma contro il loro opposto partigiano attraverso la divisione ideologica» spiega Brooks.
Questo spiega l’ascesa di una nuova classe: i conservatori di destra benestanti ma non istruiti — spesso piccoli imprenditori, commercianti e in Italia partite Iva realmente autonome — che rivendicano di essere il vero “popolo”sfruttato dalle élite della nomenclatura economica, statale e politica, e che negli Usa hanno individuato nell’ex presidente Donald J. Trump il loro ultimo difensore. «In Francia, l’antropologo Nicolas Chemla chiama questo tipo sociale i “boubours”, i borghesi cafoni. Se l’élite borghese bohémien - i bobos - tende ad avere valori progressisti e gusti metropolitani, i boubours si danno da fare per scioccarli con il nativismo, il nazionalismo e una ostinata mancanza di gusto. I leader dei boubours attraversano il mondo occidentale: Trump negli Stati Uniti, Boris Johnson nel Regno Unito, Marine Le Pen in Francia, Viktor Orbán in Ungheria, Matteo Salvini in Italia».
Il saggio di Brooks vale anche soltanto per la descrizione dei vezzi della classe creativa, che al suo apice è composta in particolare dai dirigenti della nuova industria digitale e dell’intrattenimento mediatico e che si trincera dietro un’ideologia meritocratica e falsamente egualitaria («I bobos non provenivano necessariamente da famiglie ricche, ed erano orgogliosi di questo; si erano assicurati il loro posto in università selettive e nel mercato del lavoro grazie alla grinta e all’intelligenza esibita fin dalla più tenera età, erano convinti. I tipi X si definivano come ribelli contro la stagnante élite. Erano - come diceva la classica pubblicità della Apple - “i pazzi, i disadattati, i ribelli, i piantagrane”. Ma nel 2000, l’economia dell’informazione e il boom della tecnologia stavano inondando di denaro i più istruiti. Dovevano trovare il modo di spendere i loro soldi mostrando che non si preoccupavano delle cose materiali. Così hanno sviluppato un elaborato codice di correttezza finanziaria per mostrare la loro sensibilità superiore. Spendere molti soldi in qualsiasi stanza usata in precedenza dalla servitù era socialmente difendibile: un lampadario di cristallo da 7.000 dollari in salotto era volgare, ma una stufa AGA da 10.000 dollari e 59 pollici in cucina era accettabile, un segno della loro competenza culinaria. Quando si trattava di estetica, la levigatezza era artificiale, ma la consistenza era autentica. La nuova élite distruggeva i suoi mobili, usava assi da pavimento industriale restaurate nelle sue grandi stanze, e indossava maglioni ruvidi fatti da persone precedentemente oppresse del Perù»).
Ma è soprattutto un’analisi interessante delle divisioni politiche sociali delle nostre società avanzate e delle nuove forme attraverso le quali le classi creative continuano a garantirsi il monopolio del potere. Per esempio facendo sì che le migliori scuole — quelle che danno gli strumenti per primeggiare nell’economia della conoscenza — siano riservate ai loro figli. Dal 1996, per esempio, «il divario nei punteggi dei test tra studenti di alto e basso reddito è cresciuto del 40-50 per cento» grazie a un aumento del 300% dell’investimento dei ceti benestanti nell’istruzione. Non solo, se nel 1990 circa un terzo dei deputati laburisti nel parlamento britannico proveniva dalla classe operaia, nel periodo tra il 2010 e il 2015 sono uno su dieci aveva un retroterra operaio. Intanto le diseguaglianze sono aumentate: il divario nell’aspettativa di vita tra il 40% più ricco della popolazione statunitense e il 40% più basso è aumentato da cinque a 12 anni per gli uomini e da quattro a 13 anni per le donne tra il 1980 e il 2010. Altro che progresso per tutta l’umanità.
I “nemici” delle classi creative, secondo Brooks, sono le classi operaie “tradizionali” (non è un caso che i bobos si oppongano a tutte quelle forme di regolamentazione, come la sindacalizzazione, che le favoriscono), coloro che sono economicamente benestanti ma si sentono “umiliati” culturalmente (i “boubours”, i borghesi cafoni) e le nuove generazioni in generale. «Il dominio dei bobos ha generato una ribellione tra la sua stessa prole. I membri della classe creativa hanno lavorato per far entrare i loro figli in buoni college. Ma hanno anche alzato i costi del college e i prezzi delle abitazioni urbane così tanto che i loro figli lottano sotto schiaccianti oneri finanziari. Questa rivolta ha spinto Bernie Sanders negli Stati Uniti, Jeremy Corbyn in Gran Bretagna, Jean-Luc Mélenchon in Francia, e così via. Parte della rivolta giovanile è guidata dall’economia, ma parte è guidata dal disprezzo morale. I più giovani guardano le generazioni sopra di loro e vedono persone che parlano di uguaglianza ma guidano la disuguaglianza» scrive Brooks.
Questi conflitti, inoltre, sono esasperati dal senso di superiorità morale e intellettuale sbandierato dalle classi creative, che negli Stati Uniti si è tradotto nell’espulsione del punto di vista conservatore o operaista dai media mainstream e dalle università («Quando si dice a una grande fetta del paese che le sue voci non sono degne di essere ascoltate, reagirà male - e lo ha fatto» nota Brooks). Il risultato è anche una politica più polarizzata e basata sull’identità («in parte perché la politica è l’unica arena in cui i bobos non possono dominare: non siamo abbastanza»). L’unica nota di speranza, secondo Brooks, è l’elezione di Joe Biden, che con la sua cultura politica e la sua provenienza sociale è più vicino alla vecchia sinistra operaia che alle classi creative. E sta lavorando per appianare le diseguaglianze che queste hanno esacerbato.
È nel complesso un’analisi criticabile, ma non per questo meno interessante. E ha il merito di mostrare i limiti ideologici del senso comune progressista.
“Bobos” e “boubours”. Perché abbiamo bisogno di rivedere la tradizionale divisione in classi della società
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