Il caso Montanari e il taboo dell’antifascismo

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Il caso Montanari e il taboo dell’antifascismo

Messaggio da DaniLao »

Tocca tornare sull’argomento dopo quanto già detto qua.
Purtroppo da elemento fondante della nostra costituzione, essere -o anche semplicemente professarsi- antifascista è pericoloso.

Già, perché nazifascisti e comunisti son sempre stati la stessa cosa, fin dalla seconda guerra mondiale, quando i comunisti volevano conquistare l’Europa, sterminare gli ebrei e ammazzare nella camera a gas i dissidenti.
Mala tempora currunt.

L’ignoranza (storica, ma anche quella dimostrata sulla faccenda del vaccino) ci si ritorce contro, ma non è solo quella, c'è anche la volontà di mistificazione utilissima ai fini elettorali.

Per me tutti i fascisti si meritano tutto il disgusto possibile, già, perché riescono a raccogliere in un'unica posizione politica ciò che mi fa vomitare.


Il caso Montanari e il taboo dell’antifascismo
di Luca Casarotti

Prima la vicenda del sottosegretario Claudio Durigon poi le incredibili polemiche politiche intorno a un editoriale di Tomaso Montanari mostrano come nei vertici delle istituzioni repubblicane sta venendo meno la pregiudiziale antifascista

Passato il 10 febbraio, la persona di buon senso tira un sospiro di sollievo: «fino all’anno prossimo», si dice, «sarò al riparo dalle bufalazze sulle foibe, che a ridosso del giorno del ricordo vengono sparate a getto continuo». Un getto, oltretutto, ad altissima pressione. «Ora che ci siamo lasciati alle spalle le polemiche più assurde, come quella contro il gestore del profilo twitter di una sezione di Brescia dell’Anpi, reo di aver postato una citazione dall’ultimo libro, E allora le foibe?, di Eric Gobetti, posso informarmi meglio. E capire cosa dice davvero la storiografia, su ‘sta questione delle foibe». «Magari parto proprio dal libro e dalle interviste di Gobetti», riflette ancora la persona di buon senso, «poi leggo lo speciale di Internazionale curato da Nicoletta Bourbaki, e mi procuro anche qualcuno dei titoli citati in bibliografia».

Rassicurati dal giudizio – per definizione assennato – della persona di buon senso, ci sentiamo più tranquilli anche noi. Invece no. Il fanatismo da Giorno del Ricordo ci insegue fino in quest’ultimo scampolo d’agosto. Il casus belli è un editoriale di Tomaso Montanari sul Fatto Quotidiano. Montanari, che come l’eroe del nostro racconto è una persona di buon senso, e la testa non si limita ad averla sulle spalle ma la fa anche funzionare, mette insieme i fatti: non solo considera i singoli eventi, ma ne coglie anche le somiglianze, ciò che hanno in comune e che nell’insieme rappresentano.

I vertici delle istituzioni repubblicane, questa è la tesi, stanno dimostrando di non considerare l’antifascismo una pregiudiziale. Ne è una prova il caso di Claudio Durigon, che avrebbe voluto dedicare ad Arnaldo Mussolini il parco di Latina attualmente intitolato a Falcone e Borsellino; ne è una prova il caso di Andrea De Pasquale, l’agiografo di Pino Rauti (uno statista tanto creativo e intelligente…), nominato alla direzione dell’Archivio centrale dello Stato, con pubblico placet del ministro Dario Franceschini, nonostante le proteste delle associazioni tra le vittime del terrorismo. Ne è una prova l’ideologia del Giorno del Ricordo: le istituzioni, e ai livelli più alti, hanno assunto come verità ufficiale la rappresentazione neofascista, in larghissima parte non veridica, delle vicende che hanno interessato il confine altoadriatico durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra. Vicende delle quali, come si sa, le foibe sono la metonimia.

Da sempre, i nostalgici in orbace hanno cercato di giustificare i crimini nazifascisti spiegandoli come una reazione al terrore bolscevico, e hanno trovato in ciò l’appoggio della parte più retriva della storiografia liberale. In questa stessa ottica, hanno sempre tentato di equiparare le foibe ai campi di sterminio (cioè di olocaustizzarle), riuscendo infine a trovare nella legge istitutiva del Giorno del ricordo un decisivo avallo di stato. Questa è, in buona sostanza, la communis opinio storiografica: l’editoriale di Montanari non fa altro che ricalcarla fedelmente. Ma… apriti cielo!

«Tomaso Montanari, un comunista che nega le foibe», strilla subito Libero. «Le Foibe non esistono?», gli fa eco su twitter il senatore e presidente del Partito (once upon a time) Socialista Riccardo Nencini: «un atto di lealtà alla Repubblica sarebbero le dimissioni di Durigon e l’allontanamento di Montanari dall’insegnamento». Così sembra che sia Montanari sia Durigon abbiano detto che le foibe non esistono. L’italianissimo ormai ex sottosegretario si sarà dunque adontato non poco: «sono mica un negazionista slavo filotitino, io! Volevo solo intitolare un parco al fratello del duce: non capisco perché anche Nencini voglia farmi dimettere…». Ma non finisce qui. L’ormai renziano Gennaro Migliore, ancora su twitter, è durissimo: «Ma vi pare possibile che il Rettore di una prestigiosa Università come quella degli [sic: in realtà è ‘per’] stranieri di Siena definisca ‘revisionismo storico’ la Giornata del Ricordo? A me no. Chi nega una tragedia come quella delle foibe non ha proprio nulla da insegnare». Inutili i tentativi di spiegare che Montanari assumerà il rettorato a partire da ottobre, e quindi che allo stato attuale non potrebbe dimettersi da Rettore neanche volendo. A un certo punto il Professor Pietro Cataldi, stanco di essere inconsapevolmente nominato invano, interviene con un bel comunicato ufficiale, in cui ribadisce ciò che dovrebbe essere ovvio: ossia che il rettore della Stranieri è ancora lui; che le opinioni di Montanari sono di Montanari, non della Stranieri; che Montanari, in quanto studioso e prima ancora in quanto cittadino, ha il diritto di esprimere la propria opinione su un problema storiografico; infine che le cause di dimissioni dalla carica di rettore sono tipiche e restrittivamente disciplinate, e che la disciplina restrittiva è posta a tutela della libertà accademica. Niente: «Montanari ancora non si è dimesso», insiste – sempre su twitter – Benedetta Frucci, assistente parlamentare e ultras di Italia Viva.

Va detto che chiedere le dimissioni preventive del non-ancora-rettore Montanari sta diventando un’abitudine, per Italia Viva. I renziani ci avevano già provato a inizio agosto, trainati dall’ex ministra Teresa Bellanova. L’accusa, in quel caso, era stata di leso ponte sullo stretto: grande opera dannosa e inutile, nonché piatto ghiottissimo per le mafie (cfr. il precedente del Tav Torino-Lione), alla quale Montanari era tornato a ripetere la sua contrarietà. «Io trovo molto grave», aveva scritto l’imprenditore bergamasco Gianmarco Gabrieli (anch’egli renziano), «che il Presidente del Consiglio non riprenda un rettore per l’incapacità di articolare un pensiero facendo tweet come un troll qualsiasi [la (mancanza di) punteggiatura è nell’originale]».

Che conclusioni si possono trarre dalla canea scatenata contro Montanari? La prima, e più banale, è che la qualità del dibattito è infima. Per crassa ignoranza e/o per calcolo politico, si chiede la sua testa per cose che non s’è neanche sognato di dire. E ciò, oltre a essere nocivo nel processo di formazione dell’opinione pubblica, prova per l’ennesima volta la sconfortante bassezza di buona parte della classe dirigente che abbiamo in sorte.

La seconda, non meno scontata, è che il comune senso politico, nella sfera istituzionale, è slittato di molto a destra (in politologia si parla di «destrismo»). Un paragone: durante il lungo ’68 italiano, i «cattivi maestri» di cui gli esponenti delle istituzioni chiedevano l’allontanamento dalla cattedra erano gli intellettuali dichiaratamente rivoluzionari. Insomma, l’etichetta di «cattivo maestro» serviva a escludere dal perimetro della legittimità democratica chi credeva nella necessità di abbattere lo stato borghese: era, cioè, uno strumento retorico (e poi giudiziario) di difesa della costituzione materiale vigente. Bisogna difendere la società. Certo, si potrebbe dire che anche le critiche al ponte sullo stretto sono una spina nel fianco di qualche potentato economico, che ha i suoi rappresentanti politici, ma il confronto resta comunque impietoso: al cospetto dei leader di partito che chiedono le dimissioni di Montanari per un editoriale e qualche tweet (e qualcuno ha davvero rispolverato il vecchio caro marchio del «cattivo maestro»), i guardiani dell’assetto primorepubblicano ci appaiono alla stregua di paladini quasi utopisti del libero pensiero.

La terza conclusione è che gli attacchi a Montanari, così come ad altre e altri studiosi di sinistra, si stanno verificando in coincidenza, casuale ma non meno rivelatrice, con il novantesimo anniversario del giuramento di fedeltà al fascismo, che nel 1931 il regime impose agli accademici italiani. Coincidenza nella coincidenza, il regio decreto n. 1227/1931, che lo sancì, porta proprio la data odierna: 28 agosto. Su 1.251 professori, com’è noto, a rifiutarsi di giurare furono in 12. Ovviamente, la coincidenza è rivelatrice non perché quel fenomeno è uguale a questo. Allora c’era un obbligo di fedeltà, inteso da molti come del tutto esteriore, ma pur sempre un obbligo di fedeltà, sanzionato con la perdita della cattedra. Ora ci sono le sparate di qualche politico non molto padrone di sé, prive al momento di qualunque conseguenza. Ma proprio perché alle nostre spalle (o di fronte a noi, se la vediamo come Benjamin) c’è un passato così tanto ingombrante, dovremmo sapere che bisogna fermarsi prima. Molto prima. Bisogna pensarci bene, prima di invocare, ad esempio, l’intervento del presidente del consiglio sulle opinioni di un professore universitario.

Ha scritto una volta Andrea Giardina, il grande storico dell’antichità e già Rettore della Normale di Pisa, ricordando il suo maestro Santo Mazzarino e la cerchia dei suoi allievi di cui anch’egli faceva parte: «l’unica pregiudiziale, talmente ovvia da non essere esternata, riguardava l’estrema destra». È venuto il tempo di esternarla, quella pregiudiziale, perché probabilmente ovvia non è più. A questo proposito, vale a dire a proposito del significato dell’antifascismo per l’università odierna, è da ascoltare l’orazione con cui proprio Montanari ha annunciato la sua candidatura a rettore, lo scorso giugno: è uno dei due documenti più lucidi, tra quelli che hanno avuto una certa diffusione negli ultimi mesi, sull’importanza di non disgiungere l’impegno scientifico da quello civile e politico. L’altro è il discorso delle studentesse della Normale, checché ne dicano i detrattori.

Una quarta e ultima conclusione. Un fronte impopolare ma rumoroso, che affratella gli editoriali di Ernesto Galli della Loggia alle storie su Instagram di Rocco Tanica, passando per le sguaiate invettive quotidiane di Guia Soncini, ha contribuito a rendere relativamente celebre una demonologia d’importazione: quella che si propone di combattere il politicamente corretto, o (il che è lo stesso) la cancel culture, o (il che è lo stesso) l’ideologia woke. Sintagmi fungibili, che in fondo hanno un unico scopo: servono a dire di essere dei reazionari aggiornati. L’affaire Montanari è istruttivo anche in questo: dimostra in quale modo il potere si manifesta davvero, qui e ora, nell’anno 2021 in Italia, quando pretende che gli intellettuali ne legittimino il discorso, o almeno vi si conformino. L’attrito tra la parresia e il potere emerge a quest’altezza, non nella lotta contro il feticcio della cancel culture, per additare il quale si fa spreco dell’aggettivo «fascista». In un periodo in cui si cita Foucault a proposito e soprattutto a sproposito, in cui due personaggi pittoreschi d’estrema destra fondano un’università telematica e la chiamano libera università Michel Foucault, vale la pena di andare a rileggersi le trascrizioni dei suoi corsi dei primi anni Ottanta. Soprattutto quello posteriore, del 1984, terminato tre mesi prima della morte. Quando parliamo di coraggio della verità, per parlare con cognizione di causa, partiamo da lì.

*Luca Casarotti è un giurista. Fa parte del gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki. Scrive di uso politico del diritto penale e di antifascismo. Ha una seconda identità di pianista e critico musicale.


Da: https://jacobinitalia.it/il-caso-montan ... ifascismo/
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Re: Il caso Montanari e il taboo dell’antifascismo

Messaggio da ale9191 »

Montanari viene attaccato perché dice quello che pensa e una persona del genere non potrà mai stare ai vertici di un apparato ministeriale. Vi consiglio di guardare il su programma su Loft, “Eretici”, dove analizza in venti minuti scarsi le biografie di alcuni personaggi che hanno fatto la storia della nostra civiltà.
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Re: Il caso Montanari e il taboo dell’antifascismo

Messaggio da Gamanto »

Montanari dice quello che pensa? Personalmente ritengo che prima dica e poi pensi. Considerato il tipo, comunque, sarebbe addirittura peggio se facesse il contrario.
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DaniLao
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Il caso Montanari e il taboo dell’antifascismo

Messaggio da DaniLao »

Gam, o hai letto in fretta o sei fuori tema.
Nel caso il problema fosse il primo ri-cito da sopra

“Che conclusioni si possono trarre dalla canea scatenata contro Montanari? La prima, e più banale, è che la qualità del dibattito è infima. Per crassa ignoranza e/o per calcolo politico, si chiede la sua testa per cose che non s’è neanche sognato di dire.”
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Re: Il caso Montanari e il taboo dell’antifascismo

Messaggio da Gamanto »

"La legge del 2004 che istituisce la Giornata del Ricordo (delle Foibe) a ridosso e in evidente opposizione a quella della Memoria (della Shoah) rappresenta il più clamoroso successo di questa falsificazione storica".

Poi, naturalmente, sono seguite le sue personali accuse all'universo mondo di non aver capito, peggio ancora di aver travisato, comunque di aver decontestualizzato ecc. ecc. Il solito canovaccio esperito in queste situazioni.
Ma, come scriveva Leonardo Sciascia, le parole non sono come i cani cui si può fischiare a richiamarli.
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Messaggio da DaniLao »

I morti sono tutti uguali, ma il numero la differenza un po’ la fa e anche il motivo per il quale (si ricordi, in guerra, tra iprite e bombardamenti sulle città) si è ricorsi alle armi (assoggettamento alla razza ariana o difesa, giusto per fare due esempi).

Lo ripeto per essere messo nella stessa risma di Montanari: destra e sinistra non sono uguali come non lo sono stati comunismo e fascismo, checché ne vogliano Italia viva, libero, il giornale, il pitale, la nazione, la fazione e i vari personaggi più o meno nostalgicamente affezionati ad orbace, fez e stragi di stazzema varie.

È come quando uno ti dice “io non sono di destra né di sinistra” e non hai bisogno d’altro per sapere che stai parlando con un fascista che la prende larga
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Re: Il caso Montanari e il taboo dell’antifascismo

Messaggio da Gamanto »

DaniLao ha scritto: 30 ago 2021, 21:48 I morti sono tutti uguali, ma il numero la differenza un po’ la fa e anche il motivo per il quale (si ricordi, in guerra, tra iprite e bombardamenti sulle città) si è ricorsi alle armi (assoggettamento alla razza ariana o difesa, giusto per fare due esempi).
Insomma gli infoibati, in quanto italiani, un po' se la sono meritata.
Brillante modo di pensare: non nuovo, del resto. Fa il paio con quello di quei ferrovieri comunisti che nel 1947, alla stazione di Bologna, rovesciavano sui marciapiedi il latte della Croce Rossa destinato ai bambini dei profughi istriani, i cui treni stazionavano sui binari.
Perchè gli istriani stavano fuggendo dalla loro terra, divenuta ormai Jugoslavia comunista, con relativa pulizia etnica titina, e quindi erano dei fascisti.
Ultima modifica di Gamanto il 30 ago 2021, 22:20, modificato 1 volta in totale.
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Messaggio da DaniLao »

Hai presente la guerra?
È una roba piuttosto brutta, peggio dei nazifascisti che l’hanno voluta, anche.

Nonostante ciò non avrei avuto dubbi se stare tra i partigiani, tra i nazisti o tra chi, tutto sommato stava benino e se ne fotteva della merda che gli circolava intorno.

Ma comunque hai ragione, il mio è un pensiero semplice, le dietrologie e i secondi fini li lascio a quelli più fini e ai giornalai che ci vogliono spiegare come la meloni e i comandanti partigiani fossero la stessa cosa
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Re: Il caso Montanari e il taboo dell’antifascismo

Messaggio da Gamanto »

Si, la guerra posso assicurarti che io l'ho molto ben presente.
Ma anche in guerra ci sono i combattenti e poi ci sono i criminali.
Nelle bande titine c'erano molti criminali, che non avevano nulla da invidiare ai nazisti.
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Re: Il caso Montanari e il taboo dell’antifascismo

Messaggio da ale9191 »

Che la “giornata del ricordo”, come viene chiamata, sia stata istituita in contrapposizione al 25 aprile in una sorta di “1-1 palla al centro” credo sia abbastanza chiaro e non ne fa mistero neanche chi l’ha voluta. Come ha detto Pavone, fra l’altro presidente della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea, “attraverso la equiparazione delle due parti, si mira alla rivincita degli sconfitti”.
Cito dall’articolo di ieri di Montanari: “motivando, in Senato, il suo meritorio voto contrario, l’attuale presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo vide lucidamente che “in apparenza (il Giorno del Ricordo, ndr) attiene ad un generale ripudio della violenza nelle sue forme più efferate, ma nella sostanza annega le responsabilità del Ventennio e della guerra mondiale con una ‘equa’, e perciò del tutto inaccettabile, distribuzione delle colpe. Sono le equiparazioni che hanno sempre fatto i fascisti in Italia per giustificare gli orrori del Ventennio”.

Ancora Montanari: Nessuno nega le Foibe (che videro, secondo l’opinione oggi prevalente tra gli storici, la morte di circa 5000 persone – fascisti, collaborazionisti ma anche innocenti – per mano dei partigiani di Tito), come nessuno nega l’atrocità dei bombardamenti alleati, o delle due atomiche sganciate sul Giappone: ma questo non significa che americani e nazisti fossero sullo stesso piano.