Articolo pubblicato su Le Scienze (sì, sono un secchione abbonato).
Sono svariati anni che faccio conferenze sulle grandi opportunità offerte a tutti noi dal collasso ecologico, per cui penso sia arrivato il momento, considerati i tempi, di lasciarne una traccia scritta prima che le grandi opportunità colgano anche me.
Premessa: tutti i dati, a meno che non sia diversamente indicato, vengono dalla International Union for Conservation of Nature (IUCN), dallo UN Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem services e dal Living Planet Report 2022.
===> ***Il tasso di estinzione delle specie è sino a 1000 volte superiore di quanto lo sia mai stato negli ultimi 10 milioni di anni, in altri termini, siamo nel mezzo di una estinzione di massa***<===
Se non fosse chiaro, ripeto. SIAMO NEL MEZZO DI UNA ESTINZIONE DI MASSA. Se potessi metterci intorno le lampadine colorate lo farei. Panic? Dipende.
In 50 anni, dal 1970 al 2020 circa
la biomassa dei mammiferi selvatici è diminuita del 82%
l'area occupata dagli ecosistemi naturali è diminuita del 47%
l'abbondanza delle specie nelle comunità terrestri è diminuita del 23%
il 69% delle popolazioni animali e' scomparso in 50 anni
Le popolazioni di specie di acqua dolce sono diminuite dell'83%
Circa un milione di specie è a rischio di estinzione, e non sappiamo neanche quante specie ci siano esattamente
Tra questi, su 142.577 specie censite dalla IUCN, sono a rischio:
il 63% delle piante cicadee
il 41% degli anfibi
il 37% degli squali
il 34% delle conifere
il 33% dei coralli di barriera
il 28% dei crostacei
il 26% dei mammiferi
il 21% dei rettili
il 13% degli uccelli
In Italia
Si stima ci siano tra 57000 e 67000 specie, tra animali e piante, il 43% delle specie presenti in Europa e il 4% delle specie totali, circa. Di queste ne sono state censite in termini di abbondanza 2059. Di queste 2059 specie 3 sono già estinte, 388 (quasi il 20%) sono a rischio, e tra queste ben 54 sono a rischio critico di estinzione, cioè ne restano pochissimi esemplari. Se vi piacciono le statistiche, vi dico anche che 122 sono piante, 86 molluschi, 73 pesci, 188 invertebrati, 19 uccelli, 9 mammiferi, 9 anfibi, 4 rettili.
Piccolo sfogo personale
Ogni tanto leggo sui social italiani che i gatti padronali, quelli che ci occhieggiano pigri dal divano, sono la causa principale delle estinzioni, anzi, sono il "nemico n. 1 degli ecosistemi". Il messaggio passa facilmente perché è facile cercare un capro espiatorio piuttosto che sobbarcarsi il peso delle responsabilità che ognuno di noi ha nel confronti dell'ambiente. Il rifiutarsi di guardare in faccia la realtà e pensare che se tengo il micio chiuso in casa tutto andrà a posto e quelle 54 specie a rischio critico, i 73 pesci, gli 86 molluschi e le 122 piante, torneranno floridi come un tempo, mi genera un profondo senso di frustrazione nella pochezza di chi invia quel messaggio. D'altro canto, non ho una grande opinione neanche di chi riceve in maniera acritica quel messaggio e si lava la coscienza, "tengo in casa il gatto ma mangio bistecche tutti i giorni e vado in macchina anche a comprare le sigarette". “Ah ma allora tu neghi che predano?” Mi si dice sui media, puntandomi il dito contro tipo tribunale dell'Inquisizione. No, certamente circa una meta' dei gatti preda se puo', ma penso che se mi va a fuoco la casa mi preoccupo prima di cercare acqua per spegnere l’incendio e chiamare i pompieri, e solo dopo penso alla cena che potrebbe bruciarsi, o al topo preso dal gatto. Comunque, andiamo oltre e pensiamo invece alle grandi opportunità.
Le cause
Gli scienziati che redigono il rapporto per le Nazioni Unite ritengono che le cause effettive del tasso di estinzione altissimo che stiamo osservando siano le seguenti:
Il valore dei raccolti agricoli è triplicato nell'arco di 50 anni circa, dal 1970 al 2019. Nel 2016 ammontava globalmente a 2.6 milioni di miliardi di dollari, cifre da Paperon de' Paperoni. Chiaramente i campi coltivati tolgono spazio agli ambienti naturali, per non parlare dei pesticidi. Nessun gatto è stato visto al momento guidare un trattore.
Sempre dal 1970 al 2019 il taglio delle foreste per produrre legname è aumentato del 45% e solo nel 1917 era stimato essere 4 miliardi di metri cubi di legname. Saranno gatti travestiti da castori.
La degradazione dei suoli ha ridotto la produttività mondiale delle aree terrestri del 23%
il 75% delle aree emerse è significativamente alterato dall'impatto antropico
così come il 66% degli oceani
l'85% delle aree umide è oramai perso. In Ucraina, per dirne una, c'erano moltissimi siti di interesse naturalistico nel sud, dove ora si combatte, e moltissime aree umide che si staranno riempiendo di piombo.
Per entrare nello specifico, questi sono i big five, i cinque grandi fattori di distruzione degli ecosistemi dal 1970 a oggi, in ordine di importanza
Cambiamenti nell'uso della terra e del mare che distruggono foreste, aree umide, praterie e oceani, per esempio, come si è visto, aumento dei coltivi, aumento del taglio delle foreste
Sfruttamento diretto degli organismi, come eccesso della caccia per cibo o come medicina tradizionale, eccesso della pesca
Cambiamenti climatici
inquinamento (per esempio, l'inquinamento da plastica e' aumentato di 10 volte dal 1980)
Invasione di specie alloctone (aumentata del 40% dal 1980, soprattutto causa dell'aumento nel comercio e delle dinamiche delle popolazioni umane).
Le Nazioni Unite non lo dicono ovviamente, non possono dirlo, allora lo dico io:
6. (ma forse era il n. 1): aumento esponenziale della popolazione umana.
A che punto siamo?
Pessimo. Mentre per i cambiamenti climatici c'e' un'agenda per ridurre le emissioni, per tutto il resto non c'e' assolutamente nulla, il vuoto assoluto. Non se ne parla e si ignora la questione. Non c'e' una Greta della biodiversita', purtroppo, anche perche' i cambiamenti necessari sono enormi. Al momento non abbiamo neanche esattamente focalizzato bene i problemi, stiamo ancora li a dare la colpa ai gatti, figuriamoci proporre soluzioni e attivarle politicamente su scala globale. Siamo in tempo per svegliarci, se cominciassimo da domani? Non lo so, in questo momento in cui si parla di uso di testate nucleari mi sembra addirittura che stiamo facendo marcia indietro, altro che preoccuparci della biodiversita'.
Ma qual e' il problema?
Semplice: la perdita di biodiversita' troppo rapida e ingente porterebbe presto al collasso ecologico per perdita di resilienza del sistema a qualsiasi fattore esterno, tipo una siccita' prolungata. Nel momento in cui l' ecosistema comincia a vacillare arrivano ulteriori estinzioni, il deserto e fondamentalmente la catastrofe per il pianeta come oggi lo conosciamo. Il coronavirus era Disneyland, in confronto a non avere assolutamente piu' nulla da mangiare ed estinguerci insieme agli altri. Persino i cambiamenti climatici mi sembrano meno gravi. Coi cambiamenti climatici le specie si spostano, ma non necessariamente si scompaiono in massa. Io faccio sempre l'esempio della malattia di Alzheimer. La mente umana e' costituita da reti di connessione tra i neuroni. Se muoiono i neuroni, come nell'Alzheimer, diminuiscono le connessioni e i nodi di una rete che diventa a maglie sempre piu' larghe. Pian piano la persona perde funzionalita', non ricorda le cose, non e' piu' capace di badare a se stessa e infine muore. La stessa cosa vale per gli ecosistemi.
Un caso di studio: il deserto del Sahara
Diecimila anni fa il Nordafrica era lussureggiante, dove oggi c'e' il Sahara c’erano foreste, savane, laghi, fiumi e tantissime specie di animali e piante. C'erano persino dei gatti. Non era stato sempre cosi', pero'. La zona infatti e' sottoposta a cicli di riforestazione e desertificazione in base alle oscillazioni dell'asse terrestre, piu' o meno come le glaciazioni. Leggeri cambiamenti dell'angolo di rotazione del pianeta influenzano, tra le altre cose, il monsone africano nord-occidentale che porta umidita' al Sahara. Quattordicimila mila anni fa, quando l'Europa era ancora in piena glaciazione, il deserto si estendeva ben oltre la zona attuale. Poi il clima cambio' e in poche migliaia di anni si rinverdi', consentendo il ritorno di piante, animali e Homo sapiens. E' proprio grazie a questi antichi abitanti del Sahara che abbiamo una idea piuttosto chiara del paesaggio che ha dominato il nord Africa tra 11000 e 7000 anni fa: incisioni e pitture ornano molte delle rocce e delle grotte del Sahara, gli uomini e le donne osservavano e riproducevano, come in una fotografia, quello che vedevano. E quello che vedevano erano ippopotami, giraffe, bufali, leoni, coccodrilli etc., un ecosistema paragonabile a quello dell'attuale Africa subsahariana. Poi, circa 7000 anni fa, il clima cambio' nuovamente, cambio' l'ecosistema e cambiarono le pitture rupestri: gli uomini continuavano a dipingere quello che vedevano intorno, ma quello che ora vedevano erano greggi di pecore, capre e bovini addomesticati, non piu' bufali, non piu' giraffe.
Sia chiaro, i cicli di Milankovitch e i cambiamenti climatici associati alle oscillazioni dell'asse terrestre sono eventi del tutto normali e che si ripetono. I cambiamenti climatici associati all'attivita' umana sono invece un evento unico e puntiforme, e decisamente inaspettati nella grande ottica ecologica del pianeta. Tuttavia, vedere cosa accade al Sahara quando cambia il clima e' piuttosto istruttivo.
Pecore, si diceva. Settemila anni fa in nord Africa il clima divenne bruscamente piu' arido, i laghi si ridussero, la foresta retrocesse lasciando il posto alle praterie, consentendo cosi' l'arrivo da est, dalla mezzaluna fertile, di una grande novita': il bestiame addomesticato. La parte interessante della storia e' che il cambiamento climatico fu estremamente brusco, piu' repentino di quello che ci si sarebbe aspettati dalla semplice oscillazione dell'asse. Indubbiamente ci sono modelli climatologici che possono spiegare matematicamente la faccenda senza il coinvolgimento di altri agenti. Tuttavia sappiamo da evidenze recenti, per esempio in Nuova Zelanda, in sud America e anche nella stessa Africa, che il brusco arrivo del pastoralismo puo' accelerare i processi di desertificazione. Gli scienziati sono divisi sull'impatto del bestiame allevato nella retrazione delle aree umide nel nord Africa di 7000 anni fa, ma oggi che sappiamo che le specie alloctone di ungulati possono avere un impatto notevole. Occorrerebbe sicuramente un approccio piu' sistematico alla faccenda per esplorare gli impatti dell'allevamento in un clima che diventa sempre piu' arido di suo. Sta di fatto che la siccita' estrema duro'circa un millennio con numerose fluttuazioni, poi il clima torno' umido intorno ai 5500 anni fa, per poi collassare definitivamente verso il deserto.
Verso i 4000 anni fa gli artisti del Sahara smisero gradatamente di disegnare pecore e bovini e cominciarono a raffigurare cavalli, che sopportano climi piu' aridi e non hanno problemi con le steppe. Il periodo dei cavalli duro' sino a 2500 anni fa, quando comincio' invece il periodo dei dromedari, che ando' avanti sino a circa 1700 anni fa. Da allora in poi non ci sono piu' raffigurazioni rupestri nel Sahara, perche' non era rimasto piu' nessuno per farle.
Caso di studio 2: l'Isola di Pasqua
Per far breve una storia lunga, gli umani arrivarono nel XIII secolo e per quando arrivarono gli europei, nel VXIII secolo, il danno era fatto. Le lussureggianti foreste di latifoglie subtropicali sono state tagliate all'ultimo albero per far posto ai coltivi, i sei uccelli terrestri sterminati dalla caccia, e il resto dell'ecosistema e' collassato di conseguenza. L'introduzione del ratto polinesiano sembra abbia avuto un ruolo, ma solo il 10% delle noci di cocco fossili hanno segni di rosicchiatura di ratto, quindi il grosso e' tutto merito nostro. Tre specie endemiche di palme, un totale di 21 alberi, si sono estinti, sull'isola non c'e' piu' nulla sopra i 3 metri di altezza. La mancanza degli alberi ha eroso il suolo, rendendolo meno fertile, e ha alzato le temperature, cambiando il clima e rendendolo piu' secco e arido. I siti di nidificazione degli uccelli marini sono anche andati, sotto la pressione della fame. La struttura della societa' e' collassata, le persone hanno cominciato a farsi guerra tra loro, in un secolo la popolazione sembra sia crollata da 15000 a 3000. Non ho altro da aggiungere, del resto e' una storia ben nota che ci piace ignorare. Non c'erano gatti sull'isola di Pasqua.
Che fare?
Se non vogliamo fare la fine delle popolazioni del Sahara o di quelle dell'Isola di Pasqua qualcosa dobbiamo fare, e alla svelta. Inutile mettere le specie negli zoo, perche' gli ecosistemi sono reti, e conta sia il grande mammifero quanto l'insignificante batterio, con tutto quello che c'e' nel mezzo. Dovremmo smettere immediatamente di sottrarre habitat naturali ad uso agricolo e pastorale, per le miniere, per fare dighe, per le guerre etc etc. Soprattutto, e qui viene la nota dolente, siamo troppi, dovremmo diminuire rapidamente, e consumare molto meno, soprattutto noi occidentali. E' concepibile? Secondo me, nell'attuale sistema capitalistico che chiede una crescita continua, no, a meno di collassi della societa'. Paradossalmente, per come la vedo io, l'unica soluzione e' una epidemia molto piu' cattiva del Covid. Tenere il gatto in casa serve? No, tanto quanto non serve una goccia in un oceano, o arginiamo lo tsunami in qualche modo o il rubinetto aperto non fa alcuna differenza.
Grandi estinzioni di massa
Se l'irrimediabile dovesse accadere, se dovessimo arrivare al collasso ecologico, in ogni caso, non tutto e' perduto, almeno per il pianeta. Non sarebbe la prima volta che l'ecosistema planetario si trova davanti a una grande estinzione di massa. Per la precisione, sarebbe almeno la sesta volta in 500 milioni di anni, un ottavo circa della presenza di vita sulla terra.
1) la prima fu a fine Ordoviciano, 439 milioni di anni fa. Si estinse il 60% dei generi di invertebrati marini (non c'erano specie terrestri all'epoca), e fece piazza pulita di meta' delle famiglie (in senso tassonomico) del Cambriano. Di buono c'e' che colpi' un po' tutti con la stessa intensita', per cui non ci furono grossi cambiamenti nella struttura degli ecosistemi, e la vita gradatamente riprese. Le trilobiti ebbero un colpo durissimo, ma si ripresero pian piano anche loro.
2) La seconda fu nel tardo Devoniano, 367 milioni di anni fa. Fece fuori il 70% delle specie esistenti, il 57% dei generi, il 20-30% delle famiglie. Di buono c'e' che invece di essere stato un evento repentino e improvviso, sembra che il declino in biodiversita' sia durato 25 milioni di anni. La seconda buona notizia e' che nel Devoniano la vita aveva cominciato a colonizzare la terra ferma, ma sembra siano state colpite solo le specie marine, tra cui ricordiamo i pesci corazzati, i placodermi.
3) Fine Permiano/inizio Triassico, 245 milioni di anni fa. Al momento questa e' stata in assoluto la peggiore, si estinsero il 95% delle specie, l'82% dei generi di invertebrati marini, il 35% di tutte le famiglie di animali, il 70% delle specie di vertebrati. Tra le vittime ricordiamo senz'altro le trilobiti, ma per un soffio non si estinsero anche i nostri antenati. Tutte le comunita' furono colpite cosi duramente che ci vollero circa 30 milioni di anni per riprendersi, anche perche' le condizioni non si stabilizzavano. Vediamo se stavolta riusciamo a far meglio.
4) Fine del Triassico/inizio Giurassico, 208 milioni di anni fa. Un altro evento catastrofico che fece fuori il 75% delle specie e il 53% dei generi di invertebrati marini. Sul fronte delle buone notizie, comincio' l'era dei dinosauri giganti, essendosi estinti quasi tutti i grossi Terapsidi, i nostri avi.
5) Fine Triassico/inizio Terziario, 65 milioni di anni fa. Questo e' l'evento di estinzione di massa che conosciamo tutti perche' ha portato alla fine dei dinosauri (eccetto gli uccelli) e alla rimonta dei Terapsidi, che nel frattempo si erano evoluti in mammiferi. Per quanto non sia stato tra gli eventi peggiori, non sopravvisse nulla sulla terra ferma sopra i 25 kg. Prendere appunti. Si estinsero "solo" il 50% delle famiglie e il 47%degli invertebrati marini.
Grandi opportunita': un mondo di listrosauri
Quando vivevo in Inghilterra mi fu insegnato che non si dice mai che hai un problema, perche' appari debole. Devi invece sempre guardare il bicchiere mezzo pieno, e saper individuare le opportunita' che le congiunture astrali avverse ti forniscono. Io non ho ancora capito bene esattamente che opportunita' mi fornisce una scarica di diarrea in mezzo all'autostrada lontano dalle piazzole di sosta, o se posso dire al lavoro "scusi boss, ho una grande opportunita', devo andare in bagno", ma di sicuro sono io che ho un problema una opportunita'. Secondo questa linea di pensiero, dunque, una estinzione di massa non e' un problema, ma una grande opportunita' per le specie che sopravvivono e che si ritrovano in un mondo senza competitori dove possono evolversi a piacimento.
Lystrosaurus murrayi, disegno di Nobu Namura, da Wikipedia
Lystrosaurus murrayi, disegno di Nobu Namura, da Wikipedia
I Listrosauri erano filosoficamente inglesi e seppero guardare il bicchiere mezzo pieno mentre il pianeta intorno a loro crollava durante l'estinzione n. 3, quella cattiva-cattiva, alla fine del Permiano. Questi animali avevano piu' o meno le dimensioni di un maiale, erano erbivori ed erano terapsidi dicinodonti, ovvero quelli che un tempo si sarebbero chiamati rettili mammalomorfi, nostri antenati, e non dinosauri. Alla fine del Permiano almeno una specie riusci' a sopravvivere e si ritrovo' da sola in un mondo in cui non c'era rimasto quasi nessuno, ne' predatori, ne' competitori. Chiaramente ben presto da una specie ne derivarono molte, ma tutte di listrosauri erbivori che non si intralciavano a vicenda. Ci sono posti in cui i listrosauri costituiscono il 95% di tutti i fossili. Dopo l'evento catartrofico che ha portato all'estinzione di massa, qualunque cosa sia stato, asteroide, eruzioni vulcaniche, fate voi, ci vollero 4-6 milioni di anni solo per incominciare a tornare alla normalita', in un processo che prese circa 30 milioni di anni per un totale ripristino, un tempo incredibilmente lungo, meta' del terziario, l'era dei mammiferi. In questo periodo i listrosauri sguazzavano felici e solitari nella Pangea meridionale. I motivi del loro grande successo sono ancora dibattuti. Probabilmente ad aiutarli ci fu la capacita' di ibernare, il primo esempio nei tetrapodi terrestri, ed erano animali non specializzati, mangiavano quel che c'era. C'e' anche il sospetto che, come i moderni eterocefali, fossero in grado di respirare anche in una atmosfera povera di ossigeno e ricca di CO2, forse un adattamento a una vita semiacquatica o sotterranea. O forse fu solo un incredibile colpo di... fortuna. Oggi come oggi, se dovessi scommettere sulla sopravvivenza di un tetrapode, punterei in effetti tutti i miei soldi sugli incredibili eterocefali glabri, ma Monod ci ricorda che oltre alla necessita', c'e' anche il caso a farla da padrone, quando si parla di evoluzione.
Saremo in crado di saltare sul carro delle grandi opportunita' e sopravvivere all'estinzione?
Questo e' praticamente impossibile da prevedere perche', come si diceva, c'e' il fattore fortuna a fare da ago della bilancia. Magari qualche umano riuscirebbe a sopravvivere e riprodursi anche in uno scenario postapocalittico alla Mad Max, non lo escluderei, siamo una specie tenace. A nostro favore gioca il fatto che siamo onnivori e generalisti, siamo liberi di muoverci liberamente e ci spostiamo su grandi distanze. Inoltre siamo molto bravi a sopravvivere anche in condizioni di grande stress, con o senza ausili e manufatti. Contro di noi gioca pero' il fattore dimensione (ricordate la soglia, gia' molto alta, dei 25 kg?) e il fatto che facciamo pochi figli rispetto, che so, a un insetto. Il fatto di avere 7 miliardi di biglietti della lotteria e' anche un fattore positivo.
Il problema e' che anche se la nostra specie riuscisse a sopravvivere, e le probabilita' sono buone, il crollo della civilta' non e' esattamente una passeggiata. Certo, i superstiti potrebbero cogliere infinite opportunita' e dare origine a tante nuove specie, ma e' davvero quello che vogliamo? Rinunciare alla nostra comoda esistenza sperando che i nostri nipoti riescano a sopravvivere in un mondo in cui uno scenario post atomico sarebbe visto come una pacchia?
Non voglio convincere nessuno a fare niente. Pero' questi sono i dati, e questi sono i fatti. Se non ci fermiamo, arrivera' lo tzunami, e non ci sono molti dubbi in proposito. Cominciare a parlarne come si fa col climate change aiuterebbe, forse.
Io quel che avevo da dire l'ho detto. Vado a riportare il gatto in casa.
Grandi opportunità di evoluzione: sesta estinzione di massa?
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