La cosa assurda è che, così come in Italia, i "perdenti" votano per i loro peggiori aguzzini.finestraweb ha scritto: 4 ago 2023, 15:01 Spesso ci chiediamo come sia possibile che Trump abbia un seguito che, appare abbastanza certo, lo renderà lo sfidante del futuro candidato democratico alla Casa Bianca, anche a dispetto degli altri candidati repubblicani.
I motivi elencati in questo articolo sono tipicamente americani, ma possono essere estesi anche al panorama europeo e nazionale: progressisti vs conservatori
I primi aperti al cambiamento, che non si può fermare, quando va bene si può gestire: personalmente aggiungerei che è stato gestito male, ma questa è un'idea personale.
Gli altri, restauratori, ad indicare cosa si dovrebbe fare quando sono all'opposizione, ad affermare cosa non possono fare, per forza di causa maggiore, pur volendolo, quando sono al governo.
Ed i primi non capiscono perché ci sia chi vota gli altri e gli altri non capiscono com'è che ci sia chi vota i primi.
Negli States sono un po' più in là come si evince dall'articolo sul dal Corriere.
Sia qui, che negli States, raramente è fatta autocritica, di sostanza, concreta: spesso si incolpano gli elettori, per non aver capito.
Nell'articolo che ho postato, si riferisce l'opinione di un commentatore del New York Times (a 'sto punto, facciamoci l'abbonamento al New York Times, ormai ci sono servizi di traduzione efficienti) che cerca di spiegare perché Trump goda ancora di grande appoggio.
DI FEDERICO RAMPINI
Perché le incriminazioni rafforzano Trump
di Federico Rampini
03 agosto 2023
Neppure i democratici riescono veramente a rallegrarsi davanti ad ogni nuova offensiva dei magistrati contro l’ex presidente. E la prospettiva di una seconda presidenza Trump si fa sempre più reale
Può la più antica democrazia del mondo morire nella noia, in una sorta di indifferenza generale? Mi riferisco allo spettacolo di un’America dove Donald Trump viene raggiunto praticamente da una nuova incriminazione a settimana, e con altrettanta regolarità si rafforza nei sondaggi. Il tutto avviene quasi tra gli sbadigli, in un’atmosfera che assomiglia a un senso di rassegnazione. Il pubblico mangia pop corn in sala mentre sul grande schermo viene proiettato uno schianto fra due convogli ferroviari, al rallentatore.
Neppure i democratici riescono veramente a eccitarsi davanti ad ogni nuova offensiva di magistrati contro l’ex presidente (anche se l’ultima, a rigore, focalizzandosi sul suo ruolo nell’assalto al Campidoglio potrebbe essere la più seria; purtroppo preceduta e screditata da alcune montature giudiziarie farsesche). In campo repubblicano i rivali di Trump sono sempre più deboli, e una ragione sta proprio nelle vicende giudiziarie: sono costretti a solidarizzare con lui, quindi lo ingigantiscono e rimpiccioliscono se stessi. In campo democratico c’è una sorta di inconfessabile nausea che circonda la ri-candidatura di Joe Biden. La maggioranza dei suoi elettori la subiscono, nella migliore delle ipotesi come un male minore, più spesso come un’assurdità contro cui non hanno alcun potere di ribellarsi.
Biden ha tali e tanti difetti che non possiamo dare per scontata la sua vittoria contro Trump. Dunque la prospettiva di una seconda presidenza Trump è reale: sarebbe forse perfino peggiore della prima, temo, sia per le nuove minacce che lancerebbe contro la democrazia Usa, sia per la possibile destabilizzazione delle alleanze internazionali in una fase di estrema tensione geopolitica.
In questo triste spettacolo, la noia attende in agguato anche noi commentatori: le nostre analisi sulla campagna elettorale americana rischiano di essere ripetitive, scontate, banali per eccesso di ovvietà. Perciò è quasi un miracolo quando appare una voce fuori dal coro, che prova a vedere la situazione sotto un’angolatura diversa. Oggi vi segnalo una di queste rare eccezioni. È un editoriale sul New York Times firmato da David Brooks, osservatore di raro equilibrio e lucidità.
Brooks è una grande firma del giornalismo americano. Viene da un passato conservatore, a volte votò repubblicano. Ha condannato inequivocabilmente Trump («sociopatico», lo ha definito più volte) e contro di lui ha appoggiato le candidature di Hillary Clinton e Joe Biden. Aveva anche fatto una dichiarazione di voto per Barack Obama. Insomma, pur essendo rimasto un moderato ha rotto ogni rapporto con i repubblicani trumpiani. Tuttavia fa uno sforzo per capire l’apparente mistero che sconcerta il mondo intero: l’irresistibile ascesa di Trump nei sondaggi. Vale la pena prestargli attenzione, se non vogliamo rifugiarci nel logoro stereotipo secondo cui mezza America è fascista, razzista e bigotta.
Brooks prende le mosse proprio da quest’ultimo stereotipo, quello che demonizza mezza America come una massa di incolti imbecilli reazionari (a cui bisognerebbe togliere il diritto di voto, in buona sostanza, riservando la democrazia agli illuminati). Ricorda come lo ha riformulato in maniera elegante e raffinata un autorevole studioso di scienze politiche (Marc Hetherington, intervistato da un altro editorialista del New York Times, Thomas B. Edsall). «I repubblicani vedono intorno a sé un mondo che cambia in modo sgradevolmente veloce e vogliono rallentarlo, magari anche fare un passo indietro. Ma se sei una persona di colore, una donna che apprezza la parità dei diritti o una persona Lgbt, vorresti tornare al 1963? È improbabile». In questa storia gli anti-Trump sono la forza del Bene e del Progresso. I trumpiani sono oscurantisti e anti-democratici. Sostengono Trump in qualsiasi circostanza e nonostante tutte le accuse giudiziarie, perché lui incarna i loro risentimenti e questa è l’unica cosa che conta.
«In parte io sono d’accordo con questa versione – scrive Brooks – però essa è anche un monumento all’auto-compiacimento delle élite». Da qui parte per illustrare una contro-narrazione, un po’ meno rassicurante per noi anti-trumpiani (posso usare il pronome alla prima persona plurale perché ho la cittadinanza americana; non ho mai votato né mai voterò per Donald Trump).
In questa versione alternativa, spiega Brooks, «noi» non siamo gli Eterni Buoni. In realtà siamo i cattivi. Quella che segue non è una teoria del complotto, al contrario è una storia ben nota, avvenuta alla luce del sole. Dovremmo conoscerla. Ha inizio negli anni Sessanta, quando i figli della classe operaia (no, non solo neri, anzi a maggioranza bianchi) vanno a combattere e a morire in Vietnam; mentre i figli della borghesia ottengono il rinvio del servizio militare grazie agli studi universitari (così vuole la legge di quegli anni). I figli della classe operaia restano, malgrado tutto quel che subiscono, dei patrioti. I figli della borghesia che sono al sicuro a casa propria bruciano la bandiera americana nelle piazze e nei campus universitari, si costruiscono una «buona coscienza pacifista», e insultano i reduci di ritorno dal fronte. La spaccatura tra le due Americhe è già tutta lì.
Qualcosa di molto simile accade negli anni Settanta sul terreno razziale. Le élite privilegiate e illuminate decidono che non bastano le conquiste dei diritti civili, bisogna che gli afroamericani siano portati a livello dei bianchi mescolandoli nelle stesse scuole. Poiché non abitano negli stessi quartieri, ha inizio l’esperimento di massa del «busing», cioè gli autobus scolastici che trasportano alunni da un quartiere all’altro. Nella realtà accade che vengono mescolati i figli dei Black con i figli della classe operaia bianca. Questi ultimi subiscono un abbassamento nella qualità media delle scuole. La borghesia medioalta non viene toccata da questo esperimento di ingegneria sociale su vasta scala, i suoi figli restano al sicuro in scuole di élite. Ma ha la coscienza a posto, sta facendo quel che è giusto per risarcire le colpe dello schiavismo.
E così via, di decennio in decennio, fino a costruire la meritocrazia come la conosciamo oggi. Dove, per esempio, nelle grandi università di élite un modo pressoché certo di essere ammessi è avere dei genitori della classe dirigente (che hanno frequentato quelle stesse università; oppure vi donano milioni); un altro modo è appartenere a minoranze etniche o sessuali. I perdenti sono sempre gli stessi: i figli dei bianchi che non hanno alcun titolo di studio o al massimo il diploma della secondaria superiore. È un sistema intriso di valori progressisti e al tempo stesso profondamente iniquo. Dove i perdenti sono «cornuti e mazziati», diremmo noi. La classe operaia bianca si vede bloccate molte strade, negate molte opportunità, e per di più relegata nella categoria dei rozzi, ignoranti, razzisti. Un presidente come Obama, plurilaureato nella più élitaria delle università, è stato studiato dai linguisti per l’elevata frequenza statistica con cui nei discorsi usava l’aggettivo «smart»: che unisce il concetto di intelligente, brillante, moderno, avanzato. Designa ovviamente quelli come Obama, include generosamente chi lo vota. Gli altri? Stupidi.
Un passaggio prezioso nell’analisi di Brooks riguarda la nostra professione di giornalisti, e in particolare il «tempio» dell’informazione per il quale lavora lui, il New York Times. Un tempo, ricorda l’editorialista, c’erano ancora dei figli di operai nelle redazioni dei giornali americani. Oggi la redazione del New York Times è per oltre il 50% laureata nelle 29 facoltà più elitarie d’America, cioè atenei le cui rette costano fino a 70.000 dollari l’anno. E più questi giornalisti, gli intellettuali, gli opinionisti provengono da ambienti sociali privilegiati, più si «purificano» adottando ideologie ultra-progressiste che esaltano i diritti delle minoranze.
I privilegiati hanno saputo sempre ottenere delle politiche in difesa dei loro interessi: l’apertura delle frontiere alla Cina li ha arricchiti come consumatori o come risparmiatori mentre distruggeva lavoro operaio; l’apertura delle frontiere agli immigrati gli ha fornito manodopera a buon mercato mentre deprimeva i salari operai. I privilegiati decidono il gergo etnicamente e sessualmente corretto che li distingue come illuminati; i non-laureati «devono fare acrobazie per capire come cambiano le regole, e se qualcosa che potevano dire fino a cinque anni fa oggi li espone al licenziamento».
«Le istituzioni élitarie sono diventate sempre più di sinistra, in parte perché chi ci sta dentro vuol sentirsi dalla parte del giusto, mentre partecipa a sistemi che escludono e rigettano», osserva Brooks.
Conclude tornando al tema di attualità, cioè Trump. I non laureati si sentono sotto un’aggressione economica, politica e morale, e vedono in Trump un loro difensore contro i ceti laureati. Trump ha capito che per gli operai la minaccia non sono gli imprenditori bensì le élite professionali, i laureati delle professioni intellettuali. Per la base popolare le incriminazioni di Trump «sono un’episodio nelle guerre di classe tra élite professionali e lavoratori, un attacco condotto da avvocati e giuristi delle metropoli di sinistra che vogliono abbattere colui che gli tiene testa»
Il Re del Mondo: considerazioni sulle presidenziali USA
Moderatore: Curatore di sezione
-
- senior
- Messaggi: 3683
- Iscritto il: 5 feb 2016, 9:48
- Località: Roma
Re: Il Re del Mondo: considerazioni sulle presidenziali USA
-
- senior
- Messaggi: 865
- Iscritto il: 28 lug 2015, 8:55
Re: Il Re del Mondo: considerazioni sulle presidenziali USA
A parole, gli aguzzini si presentano come difensori.
"Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre" - Albert Einstein
-
- senior
- Messaggi: 4635
- Iscritto il: 20 dic 2017, 21:06
- Località: Firenze
Re: Il Re del Mondo: considerazioni sulle presidenziali USA
Sarah Ransome, una delle accusatrici di Jeffrey Epstein, morto suicida nel 2019 in carcere travolto dalle accuse di pedofilia, raccontò di avere copia dei video che documentano gli incontri sessuali di vip come Donald Trump, Bill Clinton, del principe Andrea e di Richard Branson. Lo rivela il New York Post.
-
- senior
- Messaggi: 4635
- Iscritto il: 20 dic 2017, 21:06
- Località: Firenze
Re: Il Re del Mondo: considerazioni sulle presidenziali USA
«Joe Biden è troppo vecchio per essere un presidente efficiente»: questa affermazione è condivisa da una maggioranza schiacciante degli elettori. Il 70% dei lettori del NYT, apertamente filodemocratico, la pensa così.
Pronti ad un Trump bis?
Pronti ad un Trump bis?
-
- senior
- Messaggi: 3683
- Iscritto il: 5 feb 2016, 9:48
- Località: Roma
Re: Il Re del Mondo: considerazioni sulle presidenziali USA
Non è che Trump sia molto più giovane.ale9191 ha scritto: 12 feb 2024, 7:54 «Joe Biden è troppo vecchio per essere un presidente efficiente»: questa affermazione è condivisa da una maggioranza schiacciante degli elettori. Il 70% dei lettori del NYT, apertamente filodemocratico, la pensa così.
Pronti ad un Trump bis?
-
- senior
- Messaggi: 4635
- Iscritto il: 20 dic 2017, 21:06
- Località: Firenze
Re: Il Re del Mondo: considerazioni sulle presidenziali USA
Non è un problema per i repubblicani.
-
- user
- Messaggi: 172
- Iscritto il: 29 nov 2020, 14:18
- Località: Paesi Bassi
Re: Il Re del Mondo: considerazioni sulle presidenziali USA
questo video fu rilasciato all'indomani dell'elezione di Trump nel 2017.
Impressionante notare come sia ancora tutto attuale.
Ogni cosa citata e' vera, a parte gli ovvi scherzi sui paesi vicini.
Impressionante notare come sia ancora tutto attuale.
Ogni cosa citata e' vera, a parte gli ovvi scherzi sui paesi vicini.
აი ია - Voila, a violet
-
- senior
- Messaggi: 3683
- Iscritto il: 5 feb 2016, 9:48
- Località: Roma
Re: Il Re del Mondo: considerazioni sulle presidenziali USA
Volete sapere perché Trump ha vinto? Voglio dirvi una cosa che probabilmente darà fastidio a molti, ma voglio dirvela lo stesso. Perché la stampa non ne parla e non vuole parlarne.
Vedete, in questi ultimi giorni ho letto certi commenti e certi articoli tanto superficiali e spocchiosi che mi hanno fatta rabbrividire. Letteralmente. E no, non è Trump il problema. Il vero problema è un altro. Vedete, la vera domanda che la sinistra dovrebbe farsi non è perché Trump ha vinto, ma perché hanno perso! «I progressisti americani hanno creduto che bastasse circondarsi di star, sorrisi e glamour,» scrive Maura Giancitano, «che fosse sufficiente sentirsi più cool, più intelligenti, più giusti dell'avversario. (…) Senza comprendere che il paese reale è fatto di persone pervase da una stanchezza profonda, sia economica che culturale.»
Ecco, è proprio questo il nocciolo del problema. E non è un problema solo dell’America. Ma anche nostro. Nessuno oggi parla più dei DIRITTI SOCIALI. I problemi del nostro paese si chiamano povertà, precariato, disoccupazione giovanile, sfruttamento dei lavoratori! Conosco giovani pieni di talento e di passione che lavorano come camerieri per ottocento euro al mese in un paese dove la meritocrazia è un sogno e le pari opportunità un’illusione!
Si chiamano sanità allo sfascio, classi pollaio, inflazione. Il vero problema del mondo occidentale è che il sistema turbo capitalistico ha dato molto a pochi e tolto tanti a troppi! Perché cavolo sono questi i problemi che la politica dovrebbe risolvere! E invece l’unica cosa che interessa alla stampa è stato commentare la capigliatura di Trump, il modo in cui si tinge i capelli, e di dare degli analfabeti agli americani che lo hanno votato! Ma la gente ormai è stanca di queste chiacchiere da salotto. Le persone sono sempre più povere, sempre più sfruttate, sempre più prive di strumenti per vivere dignitosamente. O la sinistra torna ad essere la loro voce oppure non servirà più a nulla.
Vedete, in questi ultimi giorni ho letto certi commenti e certi articoli tanto superficiali e spocchiosi che mi hanno fatta rabbrividire. Letteralmente. E no, non è Trump il problema. Il vero problema è un altro. Vedete, la vera domanda che la sinistra dovrebbe farsi non è perché Trump ha vinto, ma perché hanno perso! «I progressisti americani hanno creduto che bastasse circondarsi di star, sorrisi e glamour,» scrive Maura Giancitano, «che fosse sufficiente sentirsi più cool, più intelligenti, più giusti dell'avversario. (…) Senza comprendere che il paese reale è fatto di persone pervase da una stanchezza profonda, sia economica che culturale.»
Ecco, è proprio questo il nocciolo del problema. E non è un problema solo dell’America. Ma anche nostro. Nessuno oggi parla più dei DIRITTI SOCIALI. I problemi del nostro paese si chiamano povertà, precariato, disoccupazione giovanile, sfruttamento dei lavoratori! Conosco giovani pieni di talento e di passione che lavorano come camerieri per ottocento euro al mese in un paese dove la meritocrazia è un sogno e le pari opportunità un’illusione!
Si chiamano sanità allo sfascio, classi pollaio, inflazione. Il vero problema del mondo occidentale è che il sistema turbo capitalistico ha dato molto a pochi e tolto tanti a troppi! Perché cavolo sono questi i problemi che la politica dovrebbe risolvere! E invece l’unica cosa che interessa alla stampa è stato commentare la capigliatura di Trump, il modo in cui si tinge i capelli, e di dare degli analfabeti agli americani che lo hanno votato! Ma la gente ormai è stanca di queste chiacchiere da salotto. Le persone sono sempre più povere, sempre più sfruttate, sempre più prive di strumenti per vivere dignitosamente. O la sinistra torna ad essere la loro voce oppure non servirà più a nulla.
-
- moderatore
- Messaggi: 11688
- Iscritto il: 12 mag 2015, 12:27
- Località: Nella Piana Campigiana tra Prato e Firenze
Re: Il Re del Mondo: considerazioni sulle presidenziali USA
Esattamente: ha vinto il capitalismo e allora è guerra, guerra da parte di chi ha nei confronti di chi non ha (facile, con i soldi si vince sempre facile…) e tra poveracci, che rincorrono chi gli ruba il pane e il lavoro (guerra sanguinosa, da una parte i commenti sui social, dall’altra chi lavora gobbo 12x7).
In questa prospettiva, con questo orizzonte, mi pare facile vaticinare che vinca chi protegge il capitale, il portafoglio, la moneta, l’economia, il prima gli italiani, ungheresi, russi.
Si, hai ragione, Will, era tutto prevedibile.
Anche i ragionamenti come questi sopra, che rinfacciano alla “sinistra” di non essere la destra.
Mah…
In questa prospettiva, con questo orizzonte, mi pare facile vaticinare che vinca chi protegge il capitale, il portafoglio, la moneta, l’economia, il prima gli italiani, ungheresi, russi.
Si, hai ragione, Will, era tutto prevedibile.
Anche i ragionamenti come questi sopra, che rinfacciano alla “sinistra” di non essere la destra.
Mah…
Quaestio subtilissima, utrum Chimera in vacuo bombinans possit comedere secundus intentiones, et fuit debatuta per decem hebdomadas in concilio Constantiensi
-
- senior
- Messaggi: 3683
- Iscritto il: 5 feb 2016, 9:48
- Località: Roma
Re: Il Re del Mondo: considerazioni sulle presidenziali USA
L'articolo che segue, preso da una ml de Il Messaggero, è condivisible ma valido solo se si assume che la moderna democrazia non sia finzione. Nel caso USA semplicemente il "deep state" ha scelto il candidato meno problematico (dal suo punto di vista!) e lo ha fatto votare.
Nei giorni passati molto si è scritto sulla vittoria di Trump. La attualità lo esigeva. Ora però, quando gli eventi e le news hanno ripreso a scorrere più lentamente, si può allargare lo sguardo. La sconfitta inflitta da Trump alla Harris e dal Maga (il movimento di Trump) al partito democratico sono l’ultima ondata di una tempesta che non è cominciata né uno né otto anni fa, una tempesta che non accenna a placarsi.
Non è sbagliato dire che negli Usa la destra ha sconfitto la sinistra, ma forse è ancora più corretto dire che chi stava sotto ha sconfitto chi stava sopra. La gran parte di chi stava sopra alla fine si è arroccato a sinistra sicché chi stava sotto l’ha colpito da destra. Forse poteva avvenire anche l’inverso. Trump per lustri è stato più vicino ai democratici. Lui stesso ha ricordato di aver finanziato le prime campagne elettorali della Harris in California. Lo stesso Elon Musk ha un passato da finanziatore dei democratici. Del resto, prima di sconfiggere i democratici, Trump ed il suo Maga ben più duramente hanno sconfitto il vecchio partito repubblicano, quello che ancora nel 2008 aveva sfidato Obama con il volto nobile e gentile di John McCain. Siderale è la distanza non solo programmatica, ma persino valoriale di Trump da Reagan o da Eisenhower. Il cazzotto sferrato da sotto, poi divenuto un cazzotto sferrato da destra, non ha mandato al tappeto solo il partito democratico, ma una America intera, una intera idea dall’America.
Per comprenderlo può essere d’aiuto richiamare la affinità tra due politiche delle amministrazioni Usa durante i lustri a cavallo del cambio di secolo: la ammissione a condizioni di favore della Cina nel Wto (con il conseguente crollo di ogni barriera al suo espansionismo finanziario e commerciale) e l’idea che per esportare la democrazia fosse sufficiente sconfiggere militarmente i dittatori. La prima politica fu soprattutto delle amministrazioni democratiche, la seconda di quelle repubblicane.
Ciò che accomuna le due politiche è l’assunto che una volta tolti i vincoli dei monopoli e delle tirannie, una volta messi gli individui in grado di scegliere cosa consumare e cosa votare, automaticamente le società chiuse ed oppressive si trasformano in società aperte e libere. Ci si era però dimenticati che ci sono alcune “cose” che non si possono né acquistare né vendere e che si tratta di “cose” senza le quali non funzionano né il mercato né la democrazia. “Cose” senza le quali non funziona alcuna società aperta.
Queste “cose”, i valori ad esempio o i riti o identità non escludenti, hanno a che fare in modo speciale sia con la dimensione religiosa della persona sia con il fatto che le persone hanno corpi. Si tratta di “cose” che il singolo individuo deve sempre poter rifiutare, ma delle quali non può essere vietata la circolazione nello spazio pubblico senza procurare gravi danni. Sono “cose” che funzionano in modo paradossale. L’esempio tipico è quello della libertà religiosa. Solo una significativa presenza pubblica di certe Chiese cristiane ha consentito la istituzionalizzazione del diritto a non credere e a contestare la religione. Se te ne dimentichi, scoprirai a tue spese che laicizzare lo spazio pubblico non aumenta la libertà religiosa, ma la mette in crisi.
Un altro esempio. Se in una porzione di globo il lavoro si riduce troppo o se calano troppo e troppo a lungo i salari reali, il Pil globale potrebbe non risentirne, ma in quella porzione di globo i corpi si ribellano e poco importa se questa ribellione assuma vie controproducenti.
Le politiche di cui s’è detto non hanno inventato la globalizzazione, che è fenomeno vecchio di secoli, ma ne hanno affermato una variante sorda alle ragioni dei corpi ed al valore di un tipo di identità capace di rispetto per le differenze.
Nel suo Bowling alone del 2000 (e nel sequel del 2020) Robert D. Putnam aveva meticolosamente documentato come in America, mentre quelle politiche trionfavano, la infrastruttura portante della società, l’associazionismo (molto del quale di matrice religiosa), si sgretolava. Non i social in sé, ma l’assenza di adeguati contrappesi fatti di comunicazione “calda”, ha aggravato quella crisi. Ad inizi ‘800 il primo europeo a studiare gli Stati Uniti, Alexis De Tocqueville, aveva compreso che il miracolo americano poggiava sull’associazionismo, sulla combinazione di spirito di religione e spirito di libertà (ignota all’Europa continentale degli stati e delle confessioni), sulle comunità locali (sulle cittadine come prima palestra di democrazia). Di tutto questo, però, De Tocqueville aveva colto perfettamente anche la fragilità. Le politiche di cui si è detto hanno sottovalutato questa fragilità, il politically correct e il woke hanno massacrato quelle radici, le hanno derise e recise. Alla fine sono arrivati Trump e il Maga ed hanno fatto surf su di un onda che non avevano contribuito a creare. Xi e Putin da avversari delle libertà e dei diritti hanno compreso quella crescente debolezza e l’hanno sfruttata.
Il 5 Novembre del 2024, con la vittoria di Trump anche nel voto popolare, la svolta non comincia, ma probabilmente si compie. Tuttavia la storia continua e non fa salti. Chi sostiene la svolta trumpiana ha interesse a comprenderne condizioni e ragioni per non vedersi disarcionato alla prossima ondata. Chi questa svolta vuole contrastare ha ancora più bisogno di comprenderne condizioni e ragioni. Esse esigono da questi ultimi severi esami di coscienza e drastiche autocritiche, ed è tutto da dimostrare che ve ne sarà la lucidità e la forza. Destra e sinistra dovrebbero distinguersi per le soluzioni che propongono, non per la realtà con cui si confrontano: sempre la stessa per tutti.
Nei giorni passati molto si è scritto sulla vittoria di Trump. La attualità lo esigeva. Ora però, quando gli eventi e le news hanno ripreso a scorrere più lentamente, si può allargare lo sguardo. La sconfitta inflitta da Trump alla Harris e dal Maga (il movimento di Trump) al partito democratico sono l’ultima ondata di una tempesta che non è cominciata né uno né otto anni fa, una tempesta che non accenna a placarsi.
Non è sbagliato dire che negli Usa la destra ha sconfitto la sinistra, ma forse è ancora più corretto dire che chi stava sotto ha sconfitto chi stava sopra. La gran parte di chi stava sopra alla fine si è arroccato a sinistra sicché chi stava sotto l’ha colpito da destra. Forse poteva avvenire anche l’inverso. Trump per lustri è stato più vicino ai democratici. Lui stesso ha ricordato di aver finanziato le prime campagne elettorali della Harris in California. Lo stesso Elon Musk ha un passato da finanziatore dei democratici. Del resto, prima di sconfiggere i democratici, Trump ed il suo Maga ben più duramente hanno sconfitto il vecchio partito repubblicano, quello che ancora nel 2008 aveva sfidato Obama con il volto nobile e gentile di John McCain. Siderale è la distanza non solo programmatica, ma persino valoriale di Trump da Reagan o da Eisenhower. Il cazzotto sferrato da sotto, poi divenuto un cazzotto sferrato da destra, non ha mandato al tappeto solo il partito democratico, ma una America intera, una intera idea dall’America.
Per comprenderlo può essere d’aiuto richiamare la affinità tra due politiche delle amministrazioni Usa durante i lustri a cavallo del cambio di secolo: la ammissione a condizioni di favore della Cina nel Wto (con il conseguente crollo di ogni barriera al suo espansionismo finanziario e commerciale) e l’idea che per esportare la democrazia fosse sufficiente sconfiggere militarmente i dittatori. La prima politica fu soprattutto delle amministrazioni democratiche, la seconda di quelle repubblicane.
Ciò che accomuna le due politiche è l’assunto che una volta tolti i vincoli dei monopoli e delle tirannie, una volta messi gli individui in grado di scegliere cosa consumare e cosa votare, automaticamente le società chiuse ed oppressive si trasformano in società aperte e libere. Ci si era però dimenticati che ci sono alcune “cose” che non si possono né acquistare né vendere e che si tratta di “cose” senza le quali non funzionano né il mercato né la democrazia. “Cose” senza le quali non funziona alcuna società aperta.
Queste “cose”, i valori ad esempio o i riti o identità non escludenti, hanno a che fare in modo speciale sia con la dimensione religiosa della persona sia con il fatto che le persone hanno corpi. Si tratta di “cose” che il singolo individuo deve sempre poter rifiutare, ma delle quali non può essere vietata la circolazione nello spazio pubblico senza procurare gravi danni. Sono “cose” che funzionano in modo paradossale. L’esempio tipico è quello della libertà religiosa. Solo una significativa presenza pubblica di certe Chiese cristiane ha consentito la istituzionalizzazione del diritto a non credere e a contestare la religione. Se te ne dimentichi, scoprirai a tue spese che laicizzare lo spazio pubblico non aumenta la libertà religiosa, ma la mette in crisi.
Un altro esempio. Se in una porzione di globo il lavoro si riduce troppo o se calano troppo e troppo a lungo i salari reali, il Pil globale potrebbe non risentirne, ma in quella porzione di globo i corpi si ribellano e poco importa se questa ribellione assuma vie controproducenti.
Le politiche di cui s’è detto non hanno inventato la globalizzazione, che è fenomeno vecchio di secoli, ma ne hanno affermato una variante sorda alle ragioni dei corpi ed al valore di un tipo di identità capace di rispetto per le differenze.
Nel suo Bowling alone del 2000 (e nel sequel del 2020) Robert D. Putnam aveva meticolosamente documentato come in America, mentre quelle politiche trionfavano, la infrastruttura portante della società, l’associazionismo (molto del quale di matrice religiosa), si sgretolava. Non i social in sé, ma l’assenza di adeguati contrappesi fatti di comunicazione “calda”, ha aggravato quella crisi. Ad inizi ‘800 il primo europeo a studiare gli Stati Uniti, Alexis De Tocqueville, aveva compreso che il miracolo americano poggiava sull’associazionismo, sulla combinazione di spirito di religione e spirito di libertà (ignota all’Europa continentale degli stati e delle confessioni), sulle comunità locali (sulle cittadine come prima palestra di democrazia). Di tutto questo, però, De Tocqueville aveva colto perfettamente anche la fragilità. Le politiche di cui si è detto hanno sottovalutato questa fragilità, il politically correct e il woke hanno massacrato quelle radici, le hanno derise e recise. Alla fine sono arrivati Trump e il Maga ed hanno fatto surf su di un onda che non avevano contribuito a creare. Xi e Putin da avversari delle libertà e dei diritti hanno compreso quella crescente debolezza e l’hanno sfruttata.
Il 5 Novembre del 2024, con la vittoria di Trump anche nel voto popolare, la svolta non comincia, ma probabilmente si compie. Tuttavia la storia continua e non fa salti. Chi sostiene la svolta trumpiana ha interesse a comprenderne condizioni e ragioni per non vedersi disarcionato alla prossima ondata. Chi questa svolta vuole contrastare ha ancora più bisogno di comprenderne condizioni e ragioni. Esse esigono da questi ultimi severi esami di coscienza e drastiche autocritiche, ed è tutto da dimostrare che ve ne sarà la lucidità e la forza. Destra e sinistra dovrebbero distinguersi per le soluzioni che propongono, non per la realtà con cui si confrontano: sempre la stessa per tutti.